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Le Vacanze in Tenda - Da “Un Cieco che Vede” del prof. Antonio Greco

Pubblicato il 25/08/2021 08:00 
 

Ormai ero guarito e potevo recuperare le vacanze perdute.

L'anno scolastico trascorreva senza alti e bassi. Tutto procedeva normalmente. Non ero più assillato dalla preoccupazione di essere spodestato dalla sede scolastica, perché, come ho già detto, ormai ero inquadrato in ruolo con assegnazione definitiva della sede nell'Istituto Magistrale statale di Maglie.

Si arrivò così anche questa volta alla fine dell'anno scolastico. I bambini furono promossi, Clelia in seconda elementare e Paolo alla prima media. Ora anche essi reclamavano le vacanze estive, e si pensò così di affittare un'abitazione al mare nel Comune di Otranto. Mi rivolsi a un mio vecchio amico, Nino Specchia di Cursi, al figlio del quale, Totò, avevo impartito lezioni di fisarmonica. Egli affittava appartamenti di sua proprietà a Otranto, e mi disse che disponeva ancora di uno e me lo offrì con molto piacere.

Fu quell'anno che conoscemmo i nostri vicini Agrosì, coi quali ancora oggi coltiviamo amicizia. I bambini si divertirono un mondo. Fecero le prime loro amicizie che rinforzarono negli anni successivi.

Io, quale cane scaldato, non facevo bagni, e anche Teresa si sacrificava con me. Tuttavia fummo molto contenti sopratutto per i bambini e anche per noi che, tutto sommato, ce la passammo abbastanza bene. La sensibilità della famiglia Agrosì e della famiglia Specchia, contribuì a rendere più piacevoli le vacanze. Ma Paolo conosceva anche amici che non villeggiavano a Otranto e che, invece, godevano le vacanze in campeggi abusivi, sotto le loro tende. Voleva anche lui la tenda; ma per l'anno seguente non fu possibile accontentarlo. Se ne parlò nell'estate del 77, come dirò in seguito.

Le vacanze estive a Otranto ci erano piaciute, e decidemmo di trascorrerle nello stesso posto anche nell'estate successiva; però questa volta si manifestò il desiderio di allungare il periodo delle vacanze da un mese a due mesi: luglio e agosto. Mi rivolsi allo stesso amico Specchia, ma egli, credendo che la casa mi sarebbe servita soltanto per luglio, mi disse che per agosto non era più libera. Cercammo altrove e ci fu offerta un'abitazione per luglio e agosto, nei pressi della Cattedrale.

L'estate arrivò e si riprese la vita del riposo, dei divertimenti, dei giochi e della balneazione. Vennero rimesse in sesto le piccole canne da pesca e tutto si svolgeva da copione. Sopratutto i figli godevano le vacanze, arricchendole di nuove amicizie, nuove esperienze e nuovi sentimenti. Si cominciò a organizzare giochi di gruppo molto nutriti. Cominciò l'organizzazione di scherzi ad amici meno furbi, e tutti erano felici.

Passò l'estate e si riprese il Lavoro di sempre: i bambini a Scuola ad imparare; io a Scuola ad Insegnare, e Teresa a fare la casalinga. Ma Paolo non si era dimenticato della tenda e, prima che arrivasse l'estate del 77, tornò alla carica. Infatti non mi lasciava in pace, e tanto fece, tanto non fece, che mi convinse ad acquistare la nostra tenda: una SERENELLA a quattro posti.

Così l'anno successivo, estate del 1977, piantammo la nostra Tenda nella pineta del LIDO DEI PINI.

Io avevo ancora paura dell'acqua del mare e non feci bagni. Me la spassavo all'ombra degli alberi, facendo con gli amici qualche partita a carte e a dama. Convinsi Teresa a fare i suoi bagni, ma chi godeva di più erano i bambini. Era quello il loro mondo naturale: corse nella pineta, gare di nuoto coi coetanei, giuochi con gli amici. Si fecero nuove conoscenze di villeggianti vicini e lontani. Insomma fu una bella esperienza. Noi passavamo solo il giorno in tenda; la sera tornavamo al paese, mentre Paolo, nonostante avesse solo tredici anni, pernottava in tenda.

L'esperienza fu positiva e si decise di ripeterla anche l'anno successivo, ma questa volta non andò tutto per il meglio e qualcosa non funzionò. Si verificarono dei piccoli incidenti della linea elettrica, condotta fra gli alberi con mezzi di fortuna. Il campeggio era anch'esso abusivo; tutto era in funzione dell'arrangiarsi. Ci fu qualche anonima protesta e il sindaco di Otranto, prof. Salvatore Miggiano, convocò tutti i campeggiatori per invitarli allo sgombero della pineta. Ormai eravamo già in agosto e non volevamo finire male quella piacevole esperienza, anche se coronata da qualche privazione; perciò decidemmo di fare pressione supplicando il sindaco a lasciarci almeno fino alla fine del mese. Gli promettemmo che avremmo fatto di tutto per evitare incidenti. Il prof. Miggiano, visto tanto calore nelle nostre preghiere, - Transeat - disse, e ci congedò con l'invito di rinunciare a detto abuso per gli anni successivi. Noi promettemmo e ci licenziammo.

Ora bisognava davvero pensare a come e dove trascorrere la prossima estate. Ma affidammo le nostre speranze all'attesa.

Non ci perdemmo d'animo. Imballammo la tenda (e l'imballo dura ancora) e ci orientammo nuovamente per Otranto. Però le cose non andarono in quel senso: come ogni anno, avevo presentato domanda per la partecipazione a commissario esterno nelle commissioni per gli esami di maturità, e questa volta fui nominato commissario di filosofia e pedagogia all'Istituto Magistrale st. in Piazza delle Cure a Firenze. L'invito era ghiotto e ci riflettemmo.

L'Esperienza di Firenze

Il nuovo incarico ci distolse dal cercare la casa al mare per trascorrere le vicine vacanze e si optò per l'accettazione dell'incarico a Firenze.

Era una buona occasione per condurre con me Paolo e fargli visitare una delle più grandi città artistiche del mondo.

Alla fine di giugno, fatti i bagagli, io e Paolo, che aveva appena quindici anni, ci trasferimmo a Firenze presso una Pensione gestita da suore. Prendemmo contatti con la commissione esaminatrice e mi preparai al Lavoro.

A Firenze faceva molto caldo: è una città chiusa in una conca, ed è scarsa la ventilazione. Cominciammo qualche timida escursione per la città; ma i luoghi ci erano sconosciuti, e non era facile orientarsi alla Ricerca dei monumenti artistici più insigni. Presi contatti con l'Istituto dei ciechi di Firenze, con l'Unione Italiana dei Ciechi di quella città, e nacquero così i primi ciceroni. Però Paolo non riusciva ad ambientarsi: era attratto dalla bellezza della città, ma non riusciva a vincere la nostalgia per il suo Ambiente familiare. Era troppo attaccato a sua madre e alla casa col suo pianoforte, il baracchino ed altre distrazioni. Nella Pensione c'era un armonium e con quello Paolo cercava di ammazzare il tempo. Mi diceva che voleva tornare a casa. Io gli facevo rilevare che non potevo declinare l'incarico, ma furono tante e tali le sue insistenze, che dovetti decidermi a trovare una risoluzione: Teresa doveva spedirmi immediatamente un telegramma con cui mi doveva comunicare che mia madre era gravissima, in fin di vita, in modo da giustificare l'abbandono del mio posto di Lavoro. Così avvenne; ma caso volle che proprio in quel giorno arrivò a Firenze, e proprio nella nostra Pensione, uno stuolo di ragazze dalla Sicilia, venute a Firenze a sostenere gli esami di Liceo Artistico. Mio figlio era un bel ragazzo. Tra le siciliane non mancavano le belle ragazze, e fecero presto a socializzare creando simpatie reciproche. Paolo, attratto da quella nuova e piacevole compagnia di quasi coetanee, (avevano solo qualche anno in più), decise di rimanere. Contento, mi informò che potevamo rimanere, che anzi dovevamo rimanere. Io fui contento; ma intanto il telegramma arrivò qualche ora dopo e fui felice di cestinarlo. Comunicai a casa che avevamo cambiato decisione e che saremmo rimasti fino al termine degli esami.

Contemporaneamente anche le candidate della mia Commissione, avendo saputo che Paolo era mio figlio, cercarono di farselo amico, quando, dopo avermi accompagnato a Scuola, usciva, lo abbordavano e me lo conducevano in giro per la città presso le più belle opere d'arte. Era contento, ed io ero felice che egli ne godesse.

Il Lavoro della Commissione volgeva al termine, e non era mancato qualche attrito tra me ed alcuni membri della stessa. Già nella correzione degli elaborati di Italiano, le commissarie di latino e di Italiano correggevano e giudicavano senza tener conto della mia presenza e competenza sopratutto sullo svolgimento della traccia di pedagogia. Manifestai il mio risentimento e il mio Diritto a valutare, e il primo attrito rientrò subito. Altra divergenza con la professoressa di latino nacque quando questa, agli esami orali, più che una colloquiante, sembrava una inquisitrice. Mi permisi di richiamare l'attenzione del Presidente che, fra l'altro, era una bravissima persona, il quale fu d'accordo con me nel ritenere che quando si è dall'altra parte del tavolo, la posta in palio, la promozione, crea dubbi, incertezze e timore di sbagliare, per cui è Umano e doveroso rinfrancare il candidato, metterlo a suo agio, per meglio vagliare e valutare la sua maturità. Anche questo neo fu estirpato e, salvo i casi impossibili, i risultati furono positivi.

Tornammo a casa col ricordo nel cuore di quella bella città e con la promessa di scambiarci missive e telefonate con i nuovi amici fiorentini e siciliani.


I capitoli tratti dall'autobiografia "Un Cieco Che Vede" del prof. Antonio Greco, vengono pubblicati con l'autorizzazione dell'autore. Per contattare il prof. Antonio Greco e per informazioni sull'opera completa si può Scrivere a griconio@gmail.com