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Il Mio Viaggio (Racconto)

Pubblicato il 26/04/2009 08:00 
 

Per chi non mi conosce il mio nome è John, ho 28 anni e vengo da una tranquilla cittadina nel nord della Florida. Da quando sono arrivato a Recife nel Pernambuco in Brasile mi sembra di vivere dentro un sogno, o meglio mi sento perennemente immerso in un'atmosfera che potrei definire tra il reale e il fantastico. Mi trovo qui da qualche settimana, ma, fin da subito, sono rimasto affascinato dai loro ritmi di vita, dalle loro abitudini, da questo saper trasformare il niente in tutto, proprio come un bambino,che non sa resistere e va a curiosare dappertutto, costruttivamente attratto dai giochi e dai sogni proibiti.

Se tracciassi un quadro della mia vita fin qui, potrei esserne pienamente soddisfatto. Ho una famiglia che mi adora, i miei genitori vedono in me il concretizzarsi dei loro sogni e credo di non aver mai deluso le loro aspettative. Ho studiato ed ho un Lavoro importante, un posto di responsabilità nell'Azienda di mio padre.

Da bambino leggevo un mare di libri e mi divertivo a disegnare tutto ciò che vedevo. Presto ho incominciato a coltivare le mie tante passioni, dalle più comuni alle più particolari: il ballo, il Disegno per l'appunto, cavandomela bene anche nello scolpire e intagliare il legno. Ho studiato lingue antiche e sono molto affascinato dalla melodia delle varie parlate oltre che dalla grandiosità del comunicare che sin dai tempi più antichi unisce persone e popoli.

La cosa che invece può far sorridere è la mia collezione di esemplari rari di uccelli in estinzione.

In me è sempre stata forte la sete di Ricerca e la voglia di valutare le cose con il mio cervello, non accettando mai di andare in una direzione solo perché si è sempre fatto così. Amo stare con le persone, specie quelle diverse da me, osservare il loro comportamento con l'Occhio di chi vuol comprendere e mai giudicare.

Ho viaggiato molto per Lavoro e per diletto, visitando le più belle città di mezzo mondo. Ho fatto conoscenze interessanti ed ho avuto molte ragazze, ma ognuna di loro ha lasciato nel mio cuore un suo segno che rimarrà impresso per sempre.

A parte tutto, mi preme raccontarvi le cose che mi stanno capitando qui, in questo villaggio che si trova in uno stato di semidegrado e sembra quasi dimenticato da Dio. Sono rimasto subito colpito dall'inguaribile ottimismo di questo popolo che tutto sa trasformare in Musica, Poesia, armonia. Gente che non ha niente, diremo noi! Eppure vive, si diverte, ed è felice.

Ricordo ancora il primo giorno, scendo per fare il pieno di benzina e il ragazzo al distributore con le mani callose, la tuta sgualcita, mi serve cantando e ballando la samba con allegria. Poi mi fermo per dissetarmi a un piccolo chiosco, dove trovo una Donna cordiale, dal sorriso invitante. Le dico che sono appena arrivato e lei mi risponde: “amico, se sei solo sta sera c'è una festa qui vicino, vieni e potrai conoscere un sacco di gente e divertirti”. Intanto, chiama un vecchietto che sta seduto lì con un bicchiere in mano, lui s'avvicina e il suo viso segnato dal tempo m'ispira simpatia. Marco si mette a parlare con me anche se non comprendo tutto ciò che dice. Vuole invitarmi a cenare a casa sua, mi presenta la famiglia, mostrandomi con orgoglio il raccolto della terra che ottiene coltivando un campo grande quanto un fazzoletto davanti alla sua capanna e i suoi pochissimi attrezzi sgangherati gelosamente custoditi in un piccolissimo ripostiglio.

La gente si riversa allegramente sulle strade e alle mie orecchie giunge un Suono di chitarra. Sono due giovanissimi ragazzi che suonano e cantano per guadagnarsi il pane Quotidiano. Faccio loro i complimenti, e lascio anche qualche moneta. Il più giovane mi risponde: “abbiamo nel sangue il ritmo, la Musica, la danza e non ci manca niente, solo un po' di denaro, per tirare a campare”. “E nei giorni di pioggia come ve la cavate”? Lui mi guarda come a dire: non hai capito niente della vita!... poi prosegue :”Io ho 7 fratelli, Humberto sta suonando con me e gli altri sono in mezzo al gruppo di bambini che là dietro stanno giocando gioiosi e spensierati”. Guardo verso di loro, saranno sporchi, laceri malconci,ma le loro grida sono di giubilo. “Prendiamo quel che viene, dipende dai turisti, dalla bella stagione, dalla fortuna, ma comunque va bene così, quando si può si mangia e si divide anche un boccone, ricordando di ringraziare Dio per la vita che ci ha donato”.

Ma ecco che arriva Vèra , la riconosco subito, è la ragazza che mi ha servito il caffè al chiosco. Mi presenta sua figlia e i suoi due nipotini che mi corrono incontro come se fossimo amici da sempre. Manco a dirlo, sono sporchi,mal vestiti, ma a questo ci si abitua. La loro madre porta un vestitino giallo, pulito ma consunto che avvolge una figura bella, slanciata e mi ricorda una hostess incontrata in un viaggio recente. Anabel assomiglia molto alla madre Vèra, anche lei alta, un po' più formosa con i capelli lunghi neri sciolti che le incorniciano il viso e sanno di miele. Quanti anni abbia Vèra non lo so, a guardarle sembrano sorelle.

“Se ti piace la Musica, vieni con noi, qui si canta, si balla e si tira mattina perché ogni giorno comincia una nuova avventura: la vita”. Mi faccio prendere da questo ritmo trascinante, dove la Musica si fa semplicemente battendo le mani, schioccando le dita e i barattoli di latta si trasformano in perfetti tamburelli. L'atmosfera è talmente coinvolgente che non mi rendo conto del passare delle ore. Vèra ha un sorriso rassicurante e una parlata piacevolmente musicale che ascolto e a senso capisco più o meno ciò che mi vuole dire. Comunque, questo capire, non capire, il non sapere cosa sta per succedere mi fanno provare una strana eccitazione.

Ora mi sento completamente a mio agio in questa atmosfera fatta di Musica e di calorosa ospitalità. Vèra chiama un gruppetto di bambini che facendo cerchio intorno a me, mi cantano una Filastrocca, accompagnandola con due tamburelli che nelle loro mani sembrano cento.

Un'amica di Vèra m'avvicina, mi parla mostrando interesse per me e per i miei viaggi. E gentile, solare e ha lo sguardo penetrante. Il suo vestito affusolato lascia maliziosamente intravedere un corpo sodo e prosperoso. Ha l'espressione esplicita di chi desidera piacere e dare piacere, seguendo le pulsioni e l'istinto..

Distolgo lo sguardo, attirato dal cigolio d'un carretto che arriva piano dall'altra parte della strada. Meglio, così mi tolgo dall'imbarazzo di una via troppo facile. Defilandomi tra la folla, corro. E in fretta lo raggiungo. Bene, volevo giusto bere qualcosa, mi sembra di morire di sete. L'Uomo, un'indiano di media statura, mi propone una specie di sangrìa che profuma di frutta esotica e mi conquista. Ne bevo uno, due, tre bicchieri, parlo un po' con lui. Capisco che è un instancabile lavoratore. Nella sua comunità tutti si danno da fare per guadagnarsi da vivere. Non fanno parlare di loro, niente risse ne casini. Lo guardo, ha un'età indefinibile, il corpo consumato fin sulle ossa. E' malato, ma vuole vivere, deve farcela, perché ha moglie e figli. “Ho dato tutto di me, anche il mio sangue per sfamare i miei figli e non me ne vergogno”. Povero! Pensai… oh no! Povero sono io che non mi è passato per la mente neanche per una sola volta nella vita di donare il mio sangue.

Bevo un'ultimo bicchiere e torno a riemergermi nell'atmosfera festaiola. Sento odore di fritto. Poco più in là hanno allestito un banchetto con dolciumi tipici e poco altro. Voglio assaggiare il platano, questa buona banana gigante. Dico al ragazzino di darmene un po', lui borbotta qualcosa e con un sorriso sarcastico prende con le mani dal vassoio un pizzico di quella roba, l'avvolge in un cartoccio e me la porge.

Ora sto meglio, mi sono rifocillato e, facendomi trascinare dal ritmo e l'allegria, riprendo a ballare. Mi sento già uno di loro, perché la danza è un Linguaggio universale che scioglie il corpo e libera la mente. Incrocio nuovamente lo sguardo di Vèra e lei mi mette subito in guardia. “Bada, il nostro paese è molto ospitale, ma attento ai tuoi effetti personali, c'è ad ogni angolo qualcuno pronto ad approfittare, tanto la polizia non interviene quasi mai”. Una Donna straordinaria Vèra, che si prende cura di tutti. Tiene a bada i bambini, scherza con gli anziani, aiuta i venditori a disporre le cose in quelle quattro bancarelle che per loro sono il mercato.

La osservo ballare, Vèra ha la Musica nel sangue,nei suoi occhi la gioia d'esistere, nel cuore la passione ed io mi sento catturato da questa sua naturalezza coinvolgente che mi spinge a non lasciar niente di intentato.

S'è fatto tardi ed io non ho ancora cercato un posto per dormire. Vèra insiste per ospitarmi nella sua capanna e ancora una volta, piacevolmente mi sorprende.

L'indomani, mi trasferisco da Fernando, che nonostante i suoi 82 anni è forte, sano e di un'acutezza invidiabile. Mi confessa che ora si diverte più che da giovane, perché quando passano gli anni non sai quanto ti rimane da vivere e dunque, bisogna spendere bene l'energia che si ha, per osservare, cogliere, assaporare tutto senza fretta ma, per sempre. Fernando poi mi presenta Pedro, il cantastorie del villaggio ottimo attore di sé stesso uno di quelli che non si capisce mai quando parla sul serio.

Un altro mondo affascinante è quello dei bambini, sì perché loro riescono sempre a comunicarmi gioia e più sono piccini più hanno il cuore grande. Spuntano per le strade e ad ogni angolo te li ritrovi davanti, spesso hanno i piedi scalzi o magari il moccio al Naso. Chiedono penne, caramelle, qualche cosa da mangiare. Questi incontri apparentemente casuali, anche se credo che niente avvenga per caso, diventano per me una buona occasione per conoscerli, parlare con loro. a volte, dall'espressione del viso mi sembrano impauriti, oppure si mostrano forti e assumono un'aria di sfida o ancora mi corrono incontro come se io fossi il loro padre.

E' proprio così che ho conosciuto Aleandro, un bimbetto con il sorriso sulle labbra e l'orgoglio sulle spalle. “Da dove vieni piccolo”? “Abito lontano da qui, ma mi sono abituato a farmi ogni giorno parecchie ore di cammino. Mi porto su questa strada frequentata dove è molto più facile incontrare forestieri e procurarmi da mangiare, perché la mamma è malata, infatti adesso c'è mio fratello Josè che le fa compagnia e tiene a bada la sorellina più piccola.

“E tuo padre” dov'è?” “Mio papà non c'è. Prima che andasse via lo avevano anche messo in prigione, perché aveva preso del denaro e non per rubare sai, solo per aiutarci. Adesso è andato a Lima nel Perù, ma credi, io anche da solo so benissimo quello che devo fare. Lui andava al Lavoro, poi aveva sete e beveva giù di tutto. Quando era ubriaco, dava alla mamma un sacco di botte e lei piangeva di nascosto, però io l'ho scoperta. Io sono il più grande, ho 7 anni e mio fratello 4 Siamo noi che imbocchiamo Eva, la sorellina e la culliamo per farle prendere sonno”.

Lo ascolto e intanto entriamo in una specie di tavola calda. Lui si guarda intorno, visibilmente a disagio e allora prendo due piatti pronti per noi e due abbondanti porzioni di cereali con carne da portare alla sua famiglia. Certo, ho fatto del mio meglio, poi chissà se le cose stanno veramente così.

Presto l'incontro con Aleandro e con tanti altri bambini diventa un appuntamento quasi Quotidiano. A poco a poco, l'amicizia che stabilisco con loro mi intenerisce, facendo così emergere un aspetto della mia personalità che ancora non conoscevo e in cuor mio li ringrazio.

Poi, nel mio girovagare, incontro una ragazza che spinge un carretto ricolmo di legna tagliata. Ha il viso alterato dalla fatica e zoppica visibilmente. Anzi, ora che la guardo meglio ha la gamba molto gonfia e mi fa capire che le è caduto addosso un tronco qualche ora fa, che forse le ha procurato una frattura al piede, ma tornare a casa bisogna. Ha le lacrime agli occhi per il dolore e dunque mi offro di portarle il carico a destinazione. Lei pur senza parlare mi sorride per ringraziarmi. Figuriamoci! Istintivamente, mi verrebbe da stringermela al petto per darle conforto come ho fatto con Aleandro e gli altri bimbi. Ma no, non posso, è una Donna lei e potrebbe credere che io voglia importunarla e così me ne vado ricambiando il sorriso.

Fosse per me, continuerei all'infinito, ma non posso fermarmi a parlare di tutte le persone interessanti incontrate in questo viaggio,finirei domani o forse mai.

Ora sono anch'io felice di aver imparato a spingermi più in la, affinché il mio viaggio in questa vita non abbia fine.

Mi chiedo però se dovevo proprio venire qui in questa città della speranza tra la miseria e il degrado per arricchire il mio spirito; qui dove la voglia di vivere è il seme più fecondo e il sole riscalda i loro cuori e non tramonta mai; qui dove il niente basta per tutti ; qui, dove ho imparato a guardare il mondo con altri occhi: i loro.

Silvana Valente

(Racconto apparso su Biblos Teller 1)