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Non Vedenti, Braille e Tecnologie di Stampa

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Il Circo Fabbri - Da “Un Cieco che Vede” del prof. Antonio Greco

Aggiornato il 19/05/2021 08:00 
 

Mi piaceva molto il suono della fisarmonica. Mi dava la sensazione dell'orchestrale. Cominciai a strimpellare pezzettini di brani di Musica lirico-sinfonica. Cominciai a cercare di reperire in Braille spartiti di sinfonie e brani di Musica lirica. Contemporaneamente iniziai a trasferire sulla fisarmonica studi di Czerny per pianoforte. Volevo migliorare la mia tecnica, perché i brani che desideravo Studiare erano molto difficili e richiedevano impegno e costanza, che a me, veramente, non mancavano. Di giorno mi chiudevo in casa e studiavo. Di sera mi divertivo con amici. Se Narduccio era libero, alternavo lo Studio della fisarmonica con gite in bicicletta.

Durante quell'inverno, 48-49, gli amici il sabato e la domenica organizzavano feste da ballo, ogni volta presso una famiglia privata diversa. A me, che suonavo la fisarmonica, si aggiunsero ben presto un giovane col violino, Rocco Ture, un altro con la batteria, Ciccio Russetti detto "Cocozza", e altri occasionali chitarristi e mandolinisti. Avevo formato un'orchestrina, così si chiamavano i "complessi" di oggi. Ci spostavamo nei paesi vicini a portare la nostra festa, sempre in abitazioni private. Ero diventato "celebre". Già mi conoscevano in tutto il circondario. I partecipanti alle feste da ballo pagavano una quota ciascuno, e così incominciai a guadagnare e mettere Soldi da parte per onorare la scadenza delle cambiali.

Un'altra occasione favorì la mia attività musicale: in paese era venuto un piccolo Circo che non era proprio "Circo", ma un misto di varietà. Era il Circo Fabbri che aveva qualche cavallo, qualche cane, un trapezista molto bravo, Armando Fabbri, denominato "pagnotta", delle ragazze che cantavano e partecipavano alle "Farsette" e un bambino, anch'egli molto bravo, denominato "Faggiolino", anch'egli un attore del Circo. Venuti a conoscenza della nostra "orchestrina", ci vollero ingaggiare a condizioni economiche, per me, molto vantaggiose, se si tiene presente il tempo di allora. Questa fu l'occasione buona che mi liberò da ogni assillo degli effetti cambiari. Presto finii di estinguere i dieci effetti che avevo firmato, e finalmente la fisarmonica era tutta mia.

Il Circo, che si trattenne parecchio a Castrignano, si trasferì poi a Minervino; e fui pregato di prestare ancora la mia opera, dato che facevamo Musica durante gli spettacoli e concertavamo canzoni con le ragazze del circo per il completamento dello spettacolo. Dovetti imparare nuove musiche più adatte per l'Ambiente circense che, per la verità, mi dava molte soddisfazioni. Favorì notevolmente la mia socializzazione. Nessuno mi considerava più come un "diverso". Partecipavo, spesso da protagonista alle conversazioni, agli scherzi, alle battute comiche e alla "vita sociale" del Circo. Parecchi spettatori, alla fine dello spettacolo, volevano conoscermi. Ed io ero felice di pubblicizzare la mia immagine, che doveva essere poi quella della categoria dei "non vedenti". Tutto ciò che ho fatto nella mia vita, l'ho fatto per due finalità differenti e concomitanti: l'amore dell'"Io" e l'amore della "categoria". Ci ho sempre tenuto a dimostrare che era tempo di convincersi che il "cieco" stava faticosamente costruendo e conquistando la sua dignità personale e sociale. Non mi era difficile dimostrarlo, data la polivalenza delle mie attitudini: studente, cultore di Musica, contadino, impagliatore di sedie, meccanico (smontavo e rimontavo tutta la bicicletta), ciclista. Infatti a Minervino, dove si era spostato il Circo e negli altri paesi successivi, fino a quasi trenta chilometri di distanza, mi recavo in bicicletta, sempre con Narduccio tra i miei gomiti a ricevere i comandi visivi. A volte, sulle spalle, dovevo caricare anche la fisarmonica. Ma nulla mi preoccupava: crescevo sano e forte, e ormai avevo un allenamento che tutto diventava routine. A tutto ciò aggiungi che alcuni fondi stradali erano pessimi, quasi impraticabili con la bicicletta, ma io li percorrevo lo stesso. Ricordo che tra Bagnolo e Palmariggi, forse due chilometri di distanza, il fondo stradale era polveroso, sconnesso e difficile. Si poteva transitare un po' meglio solo su una striscia, al lato della strada, di circa quaranta centimetri di larghezza. Accanto correva il canale dello scolo delle acque, di circa mezzo metro di profondità. Bisognava essere bravi per non finire nel canale o negli ampi dislivelli del centro stradale. Il problema era maggiore per il ritorno, poichè l'attività del Circo finiva verso mezzanotte, e a quell'ora io con mio fratello tornavo a casa.

Nelle nottate senza luna ero costretto ad alternare due lampadine al faro della dinamo della bicicletta: una per i fondi stradali più decenti, dove potevo correre a quindici, venti chilometri all'ora, e una per quel tratto Palmariggi-Bagnolo, quasi impraticabile, dove potevo procedere molto lentamente. Infatti questa seconda lampada, essendo di voltaggio inferiore, a velocità ridotta, illuminava ugualmente la strada. Però non mi potevo permettere di accelerare se non volevo bruciare la lampadina. Ma anche questo inconveniente era superato agevolmente, perché custodivo sempre lampade di riserva, e per me sostituirne una era un gioco.

A proposito della via sconnessa, voglio raccontare uno dei tanti episodi capitatimi sulle strade da ciclista prima e da conduttore di motorini poi.

Un pomeriggio del mese di agosto, verso le cinque pomeridiane, procedevamo in bicicletta sul famoso tratto Bagnolo-Palmariggi. Come ho detto prima, si poteva percorrerlo alla men peggio sul lato destro della strada per una fascia di circa quaranta centimetri: io con Narduccio tra i gomiti avanti e Vito, a distanza di quindici, venti metri dietro di me. Mentre si avanzava molto lentamente e attentamente, Narduccio mi comunica che contro di noi, sulla stessa fascia di strada, si faceva avanti un altro ciclista. Io gli rispondo di non preoccuparsi. Impugno il manubrio con forza e decisione e continuo imperterrito la mia andatura, deciso a scontrarmi se l'avversario non dovesse abbandonare la mia pista di scorrimento. L'intruso, arrivato a una diecina di metri da me, garbatamente si sposta sulla sua destra e mi supera. Dietro di me avanza con circospezione Vito, tutto imbellito, con un bel vestito blu, perché in serata doveva cantare al Circo. Noi, tranquilli per la pacifica risoluzione del temuto scontro, procediamo, quando, all'improvviso, sentiamo un rumore di ferraglie. Io blocco la bicicletta e mi fermo, chiedendo a Narduccio che cosa sia successo. Mi dice: "Vito è finito nel canale." "E l'altro?" "L'altro ha intanto trovato la via libera e se l'è squagliata." Intanto Vito si è rimesso in piedi e con le mani si affanna a spolverare il bel vestito blu che era diventato bianco per la polvere. Per la paura di scontrarsi, pur stando sulla sua destra, aveva perso il controllo ed era finito nel canale. Narduccio, sbigottito e irritato, grida allo sconosciuto: "Pappagallo!" Poi, rivolto a Vito: "Come, stai sulla mano tua; ti fai buttare nel canale e non gli dici niente?" e Vito compunto e soddisfatto: "Ca li dissi "camelu"!" (L'ho ingiuriato "cammello"). Così tutto finisce in una grossa risata e, felici che non era successo niente di compromettente, riprendiamo la nostra marcia per Minervino dove ci attendevano le ragazze e i comici del circo per le prove dello spettacolo.


I capitoli tratti dall'autobiografia "Un Cieco Che Vede" del prof. Antonio Greco, vengono pubblicati con l'autorizzazione dell'autore. Per contattare il prof. Antonio Greco e per informazioni sull'opera completa si può Scrivere a griconio@gmail.com