DiGrande.it

Non Vedenti, Braille e Tecnologie di Stampa

Questo sito usa Cookie per personalizzare contenuti e annunci, fornire funzionalità per social media e analizzare i collegamenti. Chiudendo questo banner o continuando la navigazione acconsenti al loro uso.
Leggi la Cookie Policy di DiGrande.it

La Diversità (Racconto)

Pubblicato il 12/05/2009 09:14 
 

Lo sanno tutti: sono sempre stato il più grande amico di Giorgio. Fin da piccoli, le nostre famiglie ci facevano giocare assieme: trascorrevamo le vacanze a Pinarella di Cervia, dove la spiaggia è brutta e sabbiosa ma senza pericoli per lui. Eravamo invitati tutti e due alle feste di compleanno di ognuno, ci facevano gli stessi regali.

Fu così che ricevemmo a tre anni lo stesso carillon con quell'aria famosa di Mozart, che mi si ruppe proprio quel giorno stesso.

A sei arrivarono invece il lego e il meccano, perché anche giorgio, che non ci vede, potesse giocare con me. Giocammo infatti, per lunghi pomeriggi, in casa sua.

È vero, faticavo un po' a convincerlo che, magari, quel mattoncino rosso non andava messo lì, anche se la Forma lo autorizzava, ma alla fine ci mettevamo sempre d'accordo: sono mattoncini che, comunque si assemblino, danno sempre il risultato d'un bell'oggetto colorato e vivace e comunque meglio lego che monopoli, coi Soldi da dividergli, i contratti da rileggergli perché li dimenticava, i dadi da cercargli…

Si sa che anche giocare a pallone piace tanto ai bambini! Infatti le nostre famiglie ci dotarono di un ambitissimo pallone regolamentare da calcio, in vero cuoio ad esagoni bianchi e neri) quando Giorgio scoprì che i sonagli applicati alla cucitura potevano permettere anche a lui e ai suoi compagni di giocare. Fu verso gli otto anni. Solo che a me non è mai piaciuto stare in porta! Ma come dovevo fare quando lui giocava con quei suoi amici?

anche la bici era un mio sogno! Anzi, nostro, come scoprii; fu così che a tredici anni avemmo in dono uno splendido tandem, con cambio Campagnolo, catarifrangenti, portapacchi…

Ma, che dire! Il tandem non è mica come una bici! e poi lui pedalava come un ossesso, incurante di incroci, semafori, ostacoli ed altro: si capisce. Io, invece, ero là davanti, alla Guida, con addosso tutte le raccomandazioni di ben quattro genitori e la paura per quegli autoarticolati che ci sferragliavano vicino, rombando. Le sole gomme di quei bestioni, alte come me, sembravano volermi triturare. Accidenti! Lui, invece, sembrava esaltato da quella prossimità pericolosa e pedalava ancora di più gridando la sua gioia di vivere nelle mie orecchie spaventate.

A Scuola andavamo bene, cioè insieme, sia all'andata che al ritorno. Bei momenti! quel che non ci eravamo detti a Scuola, dove Giorgio era nel mio stesso banco, finivamo di dircelo per strada, e quella confidenza profonda mi faceva bene. Per noi una cosa non era veramente compiuta, se non ce l'eravamo raccontata, se non l'avevamo commentata e sviscerata tra noi. Certo, i bambini sono bambini, e non sempre i miei segreti restavano solamente nostri… Ma è anche vero che non pochi dei miei successi scolastici avevano la sua firma.

Così, in coscienza, avrei potuto dirgli di no quando mi chiedeva di Studiare con lui?

già! Però questo comportava che io gli dettassi frasi da tradurre ed esercizi che egli andava tenacemente crivellando sulla carta mediante una sua piastra metallica tutta scanalata e un grosso chiodo per fare i buchi.

Visto che c'era, con la consueta baldanza, la buona lana ne approfittava per infilare tra un rigo e l'altro del suo testo Braille, poniamo di latino, anche le traduzioni che poi impunemente leggeva quand'era interrogato. Ricordo le risate che ci siamo fatti per i complimenti che il buon schiassi, il prof di latino, gli faceva sempre! complimenti che, invero, con me si risparmiava.

Altre volte, non so con che indecenze andasse gravando quella sua carta beigeolina, con quell'accidente di macchinetta, durante le lunghe ore di Scuola; sono però sicuro che non si trattava di accurati appunti, perché quelli glieli dettavo io! ma, almeno i professori dovevano ben crederlo, visto che ce lo additavano come luminoso esempio di coraggio nell'avversità!

col tempo, anch'io imparai il Braille, un po' per curiosità, un po', come diceva giorgio, per non perder tempo nella dettatura. Fu nel primo anno del Liceo che cominciai ad arrivare a casa sua con versioni ed esercizi già copiati dal "nero", come loro chiamano la nostra Scrittura. Ma a quel tempo c'erano già vere e proprie macchine da Scrivere per il Braille e in camera mia, diceva Giorgio, faceva la sua figura.

Se poi in latino lui aiutava me (non voglio negarlo), in Matematica il maestro ero io e Dio m'è testimone.

La nostra amicizia divenne molto più stretta e le nostre confidenze più commosse quando a tutti e due cominciarono a piacere le ragazze. Erano gli anni di "profumo di Donna", un bel film in cui gasman interpretava un intraprendente cieco. Andammo a vederlo insieme ed egli ne trasse molta Materia per appassionate riflessioni.

Non che per me, andare al cinema con Giorgio fosse il massimo: spiegargli tutto, scambiare con lui qualche inevitabile commento e sfuggire anche alle ingiunzioni dei vicini che imploravano il silenzio, era davvero un'impresa titanica.

Dico di più: spesso avrei voluto seppellirmi per la vergogna!

aggiungiamo che Giorgio andava maturando inoppugnabili idee sui Diritti dei disabili e sarebbe stato disposto ad accapigliarsi, con encomiabile ardore giovanile, al primo sentore che chiunque dei "vedenti" (così loro ci chiamano) potesse lederglieli: intanto il guascone portava avanti la sua battaglia prorompendo nel silenzio della sala con tono non eludibile. Giusto: io ero con lui; ma non del tutto, non sempre!

però andare al cinema con Giorgio, per me significava non pagare (nemmeno lui pagava, s'intende) e per le mie povere finanze di liceale l'affare era comunque vantaggioso.

Lui aveva uno strano modo di fare con le ragazze: "ciao cara, senti bella…" e con la scusa di farsi accompagnare, conseguiva sempre una dimestichezza, una prossimità che a me era tanto difficile raggiungere. Forse con lui esse si sentivano già mamme senza i problemi della gravidanza e dello svezzamento, cosicché accadeva non di rado che mi accomiatasse con un "ciao caro; fatti vivo domani!" ricco di maliziosi sottintesi.

Seguiva invariabilmente una mia risposta in cui solo un cieco non avrebbe visto l'invidia e il rancore. E Giorgio infatti non ce li vedeva.

Fortunatamente la nostra facoltà di filosofia era auspice e prospera di buoni incontri e amicizie femminili e, benchè non evitassi le raccomandazioni e i consigli di Giorgio che si erigeva a maestro, certo non rimpiangevo l'avara ingegneria a cui, tuttavia, i professori del Liceo mi avevano destinato.

Così mi ritrovai a conseguire gloriosamente una laurea non spendibile, come sostenevano tutti e come sosteneva anche Giorgio, che pure, a suo tempo, aveva messo tanto del suo ardore per convincermi a seguirlo in quella facoltà.

Fortuna che grazie a lui evitai di fare il soldato!

Evitai… E' un modo di dire; grazie al suo interessamento, infatti, fui attendente di un cieco di Guerra, un pazzo marxista chiamato Vincenzo che mi fece Leggere al registratore, oltre al “capitale” di marx con apparato critico, diverse opere minori e tutti i numeri di “rinascita”, di “limes”, di “linea d'ombra”, nonché, ma solo eccezionalmente di “noi Donne”.

Insomma lavorai più d'un caporale al fronte, più d'un mulo, più d'una recluta in punizione. Quando giorgio veniva a trovare vincenzo, mi incoraggiava, angelico, dicendo: "eh, te la passi bene tu!" frase con cui voleva dirmi insieme la sua sofferenza e la mia fortuna di essergli amico.

E un po' la frase aveva questo senso davvero, perchè in quel tempo non ci incontravamo spesso.

Seppi poi che diverse delle opere che penosamente registravo, andavano a finire in casa di Giorgio che nel frattempo era diventato marxista, anzi un marxista moderno, com'egli sosteneva.

Spero, per la sua Salute, che non abbia poi mai letto davvero quei tomi, ma se lo conosco bene, non dovrei sbagliarmi.

Con la consueta baldanza, mi espose la sua spericolata teoria Sociale: nel mondo attuale la lotta delle classi passa attraverso l'appropriazione delle nuove tecnologie: insomma decise che sarebbe diventato il felice possessore di un Computer e di tutti gli attrezzi ausiliari atti a permettergliene l-uso.

Detto fatto; Di lì a poco, grazie ad un decisivo contributo statale, gli scatoloni di molteplici e sofisticate apparecchiature ingombrarono la sua stanza.

Fin qui il marxismo. Poi subentrai io.

Fu a me infatti che toccò capire prima collegamenti e connessioni, poi installazioni, settaggi, configurazioni e infine procedure e comandi. Il cielo mi assistette… e anche quelle doti pratiche che i prof mi avevano già inutilmente diagnosticato.

Rimpiansi un po' la mancata ingegneria ma mi aprii al fantastico universo del Linguaggio macchina, pur non avendo un Computer davvero mio. Non fu un incontro effimero, grazie agli ineffabili ausili di giorgio! Egli si trovò in panne più d'una volta e non fu sempre cosa semplice trarlo fuori e implicò, a volte, una conoscenza non comune delle apparecchiature e dei loro più intimi segreti.

Purtroppo Giorgio non è egoista e non mi tenne solo per sé: mi trovò in breve una folta brigata di suoi amici disposti ad aprirmi i loro confusi Computer e a farci navigar dentro gratuitamente i miei saperi.

Insomma mi sentii molto utile su questa terra!

Fortuna che "Simcity", il mio videogame preferito, era sempre a mia disposizione da lui.

Vennero poi anni avari, anni in cui erano stati sospesi i concorsi per accedere all'insegnamento.

L'ultimo era stato proprio quello a cui giorgio aveva partecipato mentre ero attendente del pazzo Vincenzo.

Lui adesso sedeva solidamente in cattedra, grazie alla riserva di posti e così, un po' per fare delle chiacchiere da vecchi amici, un po' per aiutarlo a correggere i compiti, spesso ero a casa sua.

Poter correggere senza l'onere di valutare costituiva senz'altro un'importante, impagabile esperienza il cui valore avrei meglio apprezzato quando avessi insegnato anch'io. E così, in mancanza di altre entrate, restavo in bolletta.

E sempre d'umore cupo, nonostante Giorgio continuasse a dirmi le ansie e gli affanni del suo Lavoro e a consigliarmi d'approfittare dei miei ultimi scampoli di libertà.

E la libertà me la giocavo qua e là con gli altri ragazzi squattrinati pari a me. ogni tanto conoscevo una ragazza, ma Giorgio (ah, il potere della persuasione!) appena gliela presentavo, si accaniva a parlarmene così male, che anch'io non capivo più perchè poco prima l'avessi trovata così diversa e ineguagliabile.

finchè non venne Sara, che tanto lo convinse e tanto lo infiammò che la sposai; che tanto lo convinse e tanto lo infiammò che temetti qualche sconsiderata incursione nel nostro talamo.

il che avvenne.

Ora Sara sta con lui. Io vivo tranquillo e solo, innaffio le rose, vado al supermercato, porto a spasso il cane (il mio, non quello di Giorgio), guardo i varietà in tv. Il Lavoro non è quello che forse avrei desiderato, ma so accontentarmi. Ho un modesto appartamento che un giorno vorrei dividere con qualcuna, ma soprattutto mi sento finalmente libero: trascorro giornate forse un po' noiose ma piacevoli, senza dover accompagnare qualcuno con la mia macchina a prendere il vinobuono dal contadino, ad assistere allo straordinario concerto, o peggio, a guidarlo in interminabili mattinate per uffici o negozi… Si sta davvero bene senza dovergli andare a prendere i monumentali libri Braille in posta, o compilare un modulo d'iscrizione, o contargli e dividergli i Soldi, o cercare un numero di Telefono

Nessun rancore per Sara: sono cose che succedono. E poi ho una consapevolezza che è quasi una vendetta: adesso, sara, sono tutti cazzi tuoi!

Paolo Giacomoni

(Racconto apparso su Biblos Teller 1)