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Non Vedenti, Braille e Tecnologie di Stampa

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La Ripresa Degli Studi - Da “Un Cieco che Vede” del prof. Antonio Greco

Aggiornato il 26/05/2021 08:00 
 

L'estate ormai "volgeva al desio", e in me tornava imperterrita la preoccupazione e lo spauracchio di dover ancora perdere l'anno scolastico. A tempo libero, di tanto in tanto, mi leggevo qualche pagina della Grammatica greca per mantenermi in allenamento sulla disciplina da me preferita.

L'avvocato Giovanni Marcuccio, allora presidente della sottosezione dell'U.I.C. della provincia di Lecce, saputo il mio caso, si premurò di risolverlo. Dopo qualche giorno dall'inizio dell'anno scolastico, mi comunicò che l'Amministrazione Provinciale di Lecce aveva accettato di pagare la retta all'Istituto Antonacci, dove potevo godere di vitto e alloggio, mentre l'iscrizione scolastica era stata effettuata al Collegio Argento.

Il mio istitutore Carlo Greco ritirò la nota dei libri di testo che furono acquistati dall'amministrazione dell'Istituto. Ma in Braille potevo usufruire di pochi testi degli stessi autori dei testi scolastici. La biblioteca dell'Istituto disponeva di un testo di filosofia, di una Grammatica greca e di alcune letterature di Italiano, di latino e di greco.

All'indomani mi recai a Scuola, al liceo-ginnasio dell'Argento. Fui presentato ai compagni di Scuola che furono molto gentili e premurosi nel fare a gara a volermi accanto. Io cercai di mantenere un comportamento dignitoso e prudente, perché non conoscevo ancora nè l'Ambiente, nè i compagni, nè i professori che per la verità si mostrarono subito tanto comprensivi. Chiesero notizie del mio passato scolastico; mi chiesero come articolavo il mio modo di Studiare, perché sembrava che i ciechi li avessero visti solo da lontano. Le mie risposte bastarono a fugare i primi dubbi e incertezze. Il professore di scienze si premurava di farmi toccare tutti i campioni che sottoponeva all'osservazione degli allievi. Il punto negativo fu la Matematica, non perché non ero in grado di studiarla, che fra l'altro era una disciplina che mi sarebbe molto piaciuta, ma perché mi mancavano le basi della Scuola media inferiore che era stata superata da me in soli quattro mesi invece dei tre anni. Tuttavia promisi di impegnarmi al massimo. L'Ambiente scolastico era sano e accogliente; non altrettanto l'Ambiente dell'Istituto; però solo per quanto riguardava l'organizzazione per lo svolgimento dei compiti a casa.

L'Istituto di Lecce non aveva ospitato mai studenti in "pensione", e risultò impreparato per questa nuova esperienza da me iniziata. Godevo di molta libertà di movimento; potevo uscire coi compagni di Scuola quando venivano a prendermi. Ma non disponevo di nessun aiuto. Per gli esercizi scritti era un problema continuo; per gli orali le cose andavano un po' meglio. Insomma fu un anno disgraziato che superai a malapena. Per fortuna le cose cambiarono l'anno successivo.

Il presidente dell'Istituto ing. Antonacci insegnava Matematica e Fisica al Liceo-ginnasio Palmieri di Lecce, e decise di volermi trasferire alla sua Scuola per potermi seguire meglio.

Intanto la nuova esperienza piacque all'Amministrazione dell'Istituto che decise di offrire ospitalità ad altri studenti della Puglia che si trovavano nelle medesime condizioni. Così col nuovo anno scolastico arrivò Tritto, mio compagno di Scuola, e Grittani che fu iscritto in sezione diversa dalla nostra. Lo stesso anno ci raggiunsero anche Berardi e Bellezza per la frequenza del primo liceo.

Ora dovevo frequentare il secondo liceo classico: anno nuovo, compagni nuovi, professori nuovi, Ambiente fisico nuovo. Ma per fortuna il nome dell'Istituto Antonacci e la sua fama di Ambiente educativo erano noti alla cittadinanza leccese, e il primo giorno di Scuola compagni e professori ci osservavano con curiosità, perplessità e, nello stesso tempo, con interesse. I compagni si affollarono intorno a me e Tritto per avere spiegazioni della tavoletta Braille, della nostra scrittura, della lettura e di tutto ciò che poteva interessare il nostro metodo di Studio. Qualcuno ne aveva sentito parlare, ma vagamente. Le nostre risposte, la franchezza, la giovialità della conversazione contribuirono a creare le prime simpatie verso di noi. I più estroversi si offrirono di accompagnarci e di farci prendere conoscenza dell'ubicazione dell'aula, del corridoio e dei bagni. La nostra era la II F, classe mista. Eravamo circa metà ragazzi e metà ragazze. Più della metà proveniva dai paesi vicini. Ben presto diventammo amici di tutta la classe. Anzi, a volte, quando per un motivo qualsiasi uscivamo prima dalla Scuola, i compagni e le compagne ci volevano con loro. Spesso ci riunivamo in casa di qualcuno di loro, più frequente in casa della Tina Stefanachi, dove c'era anche un pianoforte e ci divertivamo a ballare. Io, Tritto e qualche altro compagno sapevamo suonacchiare, e a turno ci mettevamo al pianoforte, mentre gli altri si ballava.

Io, come al solito, primeggiavo nello Studio della Lingua greca, e quando facevamo i compiti in classe, chi più mi voleva avere vicino per qualche suggerimento. Noi non potevamo disporre di vocabolari in Braille, perché, come ho già detto, troppo voluminosi e ingombranti; perciò era consuetudine ormai che durante i compiti in classe di latino e di greco, i professori ci permettevano di servirci del compagno di banco per la ricerca dei vocaboli. Spesso qualcuno di loro veniva a trovarci in Istituto per fare i compiti con noi o per fare delle passeggiate. Di tanto in tanto Evelina Mazzotta, altra compagna di Scuola, di domenica organizzava in casa sua piccole feste da ballo con compagni e amici, e nella lista anche noi eravamo ospiti graditi.

Anche in Istituto, rispetto all'anno precedente, si era fatto qualche progresso: per lo svolgimento dei compiti a casa, l'Amministrazione aveva provveduto ad assegnarci, per l'uso del vocabolario, per la lettura dei testi di cui non disponevamo copia in Braille e per altro, la prof.ssa Concettina Martuscello. Tutto procedeva meglio rispetto all'anno precedente. Anche lo stare insieme in Istituto con altri studenti, mi rendeva l'atmosfera più vivibile e gradita. Intanto era venuto tra di noi anche mio cugino Giustino De Matteis per proseguire gli studi. Cominciammo ad organizzare tra di noi partite a pallone; però con la differenza che ormai non si usava più la classica "latta", ma il pallone vero e proprio, il numero 5. Anche il nostro "pallone" seguiva l'evolversi dei tempi. Come campo sportivo usavamo un cortile adiacente ai locali che erano stati assegnati a noi studenti. Ci raggiunse anche Antonio Signorile per la frequenza del quarto ginnasio. La nostra famiglia era destinata ad aumentare.

Studiando, giocando e fumando, passavano i nostri giorni. A proposito di fumo, i Soldi erano pochi e dovevamo ingegnarci a fumare, spendendo poco. Infatti io portavo da casa tabacco essiccato di nostra produzione, di cui allora era proibita la detenzione, compravo le "cartine" e mi facevo le sigarette a mano. Poi ho fatto un salto di qualità: ho comprato una macchinetta per la fattura delle sigarette manuali. Esistevano in commercio tubetti di carta per la confezione delle sigarette sia senza filtro che con filtro. Quando la finanza me lo permetteva comperavo i tubetti con filtro e confezionavo le sigarette col mio tabacco spruzzato di liquore e messo alla stufa. Questo trattamento gli conferiva un bel profumo gradito all'olfatto. I compagni di Scuola, curiosi, mi chiedevano la provenienza di quelle sigarette, e io rispondevo che erano estere e molto costose. Più di una volta mi chiedevano di scambiarle con le loro di marca nazionale, ma io svelavo il segreto e effettuavo lo scambio. Ma giugno ormai era alle porte, e all'orizzonte si defilava la chiusura dell'anno scolastico con paure e speranze. Finita la Scuola, ci salutammo e ci augurammo di ritrovarci in salute e più in vena di prima.

Gli Esami di Maturità

Le vacanze estive trascorsero senza episodi particolari o degni di annotazione: la campagna, le coltivazioni, le passeggiate in bicicletta, serate con amici, qualche capatina in mare e null'altro di eccezionale. Il trimestre estivo trascorse in fretta, e quando mi stavo abituando alla vita spensierata, arrivò ottobre con le sue cartelle di pagamento: inizio dell'anno scolastico, giornate suddivise in impegni differenti, ma tutti da rispettare con serietà.

Ci ritrovammo tutti: Tritto, Grittani, Berardi, Bellezza, Giustino, e tutto l'Ambiente dell'Antonacci.

Il primo giorno di Scuola, nell'atrio del Palmieri fu una festa il ritrovarci con i nostri compagni: gli abbracci, le domande di rito: "Come hai trascorso le vacanze?" e poi la realtà più seria: i banchi, i professori, l'assegnazione dei compiti a casa, e così era trascorso il primo giorno dell'ultimo anno (almeno così si sperava) del liceo classico. Chi più ci esortava a Studiare dai primi giorni, chè alla fine dell'anno scolastico ci aspettavano gli esami di maturità. E allora le cose erano veramente serie: bisognava portare agli esami tutte le materie con riferimento degli ultimi tre anni. Veramente la prendemmo più sul serio e cominciammo ad impegnarci dai primi giorni. Facevamo l'ultimo anno io, Tritto e Grittani che, però, era in sezione diversa dalla nostra. Ci fu assegnata la prof.ssa Martuscello come aiuto per lo svolgimento dei compiti a casa e, mese dopo mese, si arrivò alla fine dell'anno scolastico. Una gita in campagna di tutte le terze classi fu la corona di chiusura. Ora ci attendevano gli esami, prova durissima fin dal primo impegno: l'Italiano scritto. Infatti se non si superava questa prova, si veniva eliminati da tutte le altre prove; praticamente si era già respinti. Infatti, svolto il tema in classe, si andava a conoscere il risultato con palpitazione di cuore, perché da quell'esito dipendeva tutto il resto degli esami. Davanti alla bacheca dei risultati si verificavano di tutte le scene: abbracci di gioia, disappunti, crisi nervose, bestemmie, maledizioni all'indirizzo del commissario di Italiano, ed altro. Io, per fortuna, fui ammesso e continuai la preparazione per le rimanenti prove. Ricordo che studiavamo anche di notte con montagne di libri in Braille accanto al letto: letteratura italiana, letteratura greca, letteratura latina, i classici di latino e di greco, Geografia, storia, Matematica, storia dell'arte e chi più ne ha, più ne metta. Era un calvario; le sigarette ci facevano compagnia e rappresentavano distrazione e ristoro. Finalmente passò anche quel "calice" e noi promossi fummo lieti di festeggiare quella tappa importante. Ci eravamo promessi di fare un falò di tutti i quaderni, appunti ed altro della Scuola; ma saputo l'esito positivo, ci dimenticammo di tutto, e quaderni e appunti rimasero integri. Ci salutammo coi compagni; scambiammo gli indirizzi e le speranze di poterci incontrare in futuro. Tornai a casa pieno di gioia e felice di aver superato un'altra tappa significativa ed importante. Ma la vita non finisce mai finchè si è vivi, e quindi bisognava pensare al futuro. Però volli trascorrere le nuove vacanze estive senza impegni particolari, riservandomi di pensare all'università con l'apertura dell'anno accademico.

L'Università

Novembre arrivò presto. Siamo nel 1952. Mi misi subito in contatto con i miei compagni, prossime nuove matricole.

Mi sarebbe piaciuto iscrivermi in Giurisprudenza. Quello è stato sempre il mio sogno. Vivevo e vivo tutt'ora il problema dei più deboli, e mi sarebbe piaciuto avere uno strumento in mano per poterli difendere contro le angherie, soprusi, sopraffazioni, abusi e sfruttamento da parte dei più furbi e più forti. Io, che ho vissuto in mezzo alla gente povera, ho potuto cogliere i suoi disagi, le lagnanze, le ire, le rassegnazioni, i calvari, le sofferenze e, in alcuni, il velato o, a volte, palese desiderio di riscatto. Mi sarebbe piaciuto possedere la toga forense, conoscere le leggi, ma sopratutto farle osservare. I potenti si servivano (e si servono tutt'ora) della loro "forza", abusando della rinuncia e omertà dei deboli, per sottometterli, per sfruttarli e, in molti casi, per spogliarli della casuccia che erano riusciti a costruirsi dopo innumerevoli e grandi sacrifici, magari per inadempienza di qualche piccolo debito che non era stato estinto in tempo. Tutto ciò creava in me una profonda sofferenza e nello stesso tempo, insofferenza per la constatazione di nulla potere contro tanta palese ingiustizia sociale. Già dal 48 mi ero schierato con le sinistre, non perché ne condividessi le ideologie, ma nella speranza che si potesse realizzare una maggiore equità e uguaglianza non tanto di classi sociali, quanto del rispetto e dell'attuazione ed applicazione della vera Giustizia. Questi erano in particolare i sentimenti che suscitavano in me "l'amore" per la Giurisprudenza. Ero assetato di norme, di commi, di articoli, di leggi che mi potessero permettere di dare suggerimenti a chi ne aveva bisogno, perché i consigli dell'avvocato costavano troppo, e la povera gente non aveva nè Soldi, nè possibilità di ricorrere agli avvocati. Spesso si era costretti ad accettare supinamente "le sorti" e a consolarsi col dire: "Fazza Diu" (faccia Iddio). Questi erano i miei nobili sentimenti; ma la realtà ambientale, sociale ed economica in cui vivevo, era tutt'altro.

La mia famiglia viveva di lavoro, e i miei genitori erano già avanzati nell'età: mio padre aveva 65 anni e mia madre 59, già pensionata di una misera pensione I.N.P.S., come mio padre che , si adattava in campagna per arrotondare il lunario.

Prima di iscrivermi all'Università, ho riflettuto a lungo: la Giurisprudenza è la mia passione; ma mi garantirà in tempi non lontani un reddito di sopravvivenza? I dubbi erano parecchi. Io non vedente, ammesso che fossi diventato un bravo avvocato, avrei potuto riscuotere credibilità e fiducia in persone che poco conoscono i ciechi, o non li conoscono affatto? Questo conflitto mi turbava; ma alla fine ho optato per una risoluzione meno accattivante, ma per quei tempi più certa nei risultati. Dopo tutto il mese di novembre e parte di dicembre, decisi di iscrivermi in Filosofia all'Università di Bari, che allora era la più vicina. Mi fu assegnato il numero di matricola 933, e da quel momento inizia per me, forse, la tappa più irta di difficoltà, di ostacoli, di sofferenze, di sacrifici e di speranze. Ripresi il dialogo con alcune mie compagne, anch'esse iscritte in Filosofia, in particolare con Tina Stefanachi per avere facilitazioni e ridurre i disagi della distanza con Bari. Concordammo con alcune colleghe l'acquisto dei libri a spese ripartite. Ci studiammo il piano di studi, che allora era obbligatorio e non elaborato dallo studente. Tuttavia chi aveva più bisogno, ero io, e quindi ero io che dovevo recarmi a Lecce, dove abitavano le mie colleghe, per Studiare insieme. Ma non sempre la finanza me lo permetteva; i viaggi costavano, e non sempre disponevo di contanti per pagarmeli. Quindi dovevo arrangiarmi da me. L'Ambiente culturale in cui vivevo era ridotto e limitato. Persone che leggessero decentemente erano misurate. Ma non mi persi d'animo. Feci appello ai miei amici studenti o tali. Li invitai a dedicarmi, quando era possibile, un po' di tempo per la lettura di testi e dispense. L'appello non cadde nel vuoto. Mi furono vicini Angelo Za, Luigi Daniele, per gli amici Gigetto, Giacinto Galasso, il futuro dr. Donato Plenteda, Uccio Bolognini ed altri occasionali.

Da queste righe voglio ancora dire grazie per la loro solidarietà allora per me vitale. Dovevo prendere appunti e fare affidamento sopratutto alla memoria per ricordare i particolari delle lezioni studiate. Ma sia chiaro, non potevo avere i miei lettori sempre e subito a mia disposizione e, quando non potevo disporre di loro, dovevo ricorrere addirittura ai limiti del possibile, facendomi leggere dei paragrafi da persone con titolo di Studio da seconda o terza elementare. La frequenza all'Università mi era preclusa per mancanza di fondi, e perciò dovevo barcamenarmi come meglio potevo. Erano tempi duri; ma il mio puntiglio era ancora più duro. Volevo dimostrare prima che a me, all'opinione pubblica che anche i ciechi possono fare quello che fanno gli altri e, anzi a volte, anche di più. Era la mia lotta contro i pregiudizi e la falsa immagine del cieco, nutriti dai così detti normodotati.

Mentre fino alla maturità classica le carenze più sentite erano state sopratutto la mancanza in Braille di testi di esercizi delle lingue, per cui uno di noi impiegava il doppio del tempo, in quanto doveva prima trascrivere gli esercizi e poi tradurli. Ora, invece, le limitazioni erano innumerevoli: dalla mancanza di testi e dispense in Braille alla irreperibilità di lettori all'altezza del compito. Ad esempio, a volte, sulle dispense o sui libri si trovavano parole scritte con alfabeto greco che quasi nessuno leggeva, e lascio intendere il disagio. Ma, nonostante tutto, andavo avanti e, con timidezza, emozione e fiducia in me, mi accinsi a sostenere qualche esame del primo anno.


I capitoli tratti dall'autobiografia "Un Cieco Che Vede" del prof. Antonio Greco, vengono pubblicati con l'autorizzazione dell'autore. Per contattare il prof. Antonio Greco e per informazioni sull'opera completa si può Scrivere a griconio@gmail.com