Una storia semplice, che mi porto dietro da sempre
Giuseppe Di Grande Aggiornato il 23/12/2025 08:00C'era una cosa che mi succedeva regolarmente, e che allora non sapevo spiegare. Aprivo un Libro, iniziavo a Leggere, e dopo pochi secondi le parole a stampa si annebbiavano. Non sparivano: c'erano ancora, ma diventavano come coperte da una foschia. A quel punto ero costretto a distogliere lo sguardo, aspettare un attimo, e poi tornare sul testo. Per un po' funzionava di nuovo, poi la stessa cosa si ripeteva. Succedeva con qualunque libro. Studio, narrativa, testi che mi interessavano e testi che mi annoiavano. La variabile non era il contenuto.
Per molto tempo ho pensato fosse un problema di Vista. Era la spiegazione più ovvia. Ma c'erano dettagli che non tornavano.
Il Computer, per esempio. Davanti allo Schermo non mi succedeva mai. Potevo passare ore a Programmare senza alcun affaticamento visivo. Lo stesso valeva quando scrivevo algoritmi su carta: lì ero concentrato, lucido, presente. Nessuna nebbia.
Col tempo ho capito che il punto non era leggere o non leggere. Era come.
La Lettura a stampa mi obbligava a stare fermo, a seguire un ritmo che non era il mio, a procedere in modo lineare senza poter intervenire. Dovevo solo ricevere. E dopo pochi secondi qualcosa dentro di me mollava la presa. Non per distrazione, non per rifiuto. Semplicemente perché quel modo di usare gli occhi e la mente non era naturale per me.
Anni dopo ho perso la vista. E qui succede una cosa che detta così sembra un paradosso, ma per me non lo è mai stata. Ho iniziato a leggere davvero.
Con la Sintesi Vocale il testo ha smesso di essere una superficie da fissare ed è diventato un flusso. Ho potuto scegliere la velocità, interrompere, tornare indietro, Ascoltare mentre pensavo. Il Linguaggio scritto ha finalmente trovato il suo posto.
Oggi leggo più di cento romanzi all'anno, oltre a tutto ciò che mi serve per lavorare e vivere. Senza fatica. Senza quella nebbia che da ragazzo davo per scontata. Guardando indietro, mi è diventato chiaro che la lettura non è mai stata il problema. Il problema era il canale.
Io non funziono bene quando devo stare dentro a un Percorso rigido, imposto, passivo. Funziono quando posso interagire, costruire, controllare il ritmo. Quando posso trasformare le informazioni in sistema.
La carta stampata, per come è stata usata a Scuola e nella Cultura, per me era un collo di bottiglia. Non un limite personale, ma uno strumento inadatto. E questa consapevolezza è arrivata tardi. Ma quando è arrivata, ha rimesso in ordine molte cose.
Da adolescente non realizzavo davvero cosa stesse succedendo. Non capivo perché potessi fare cose eccezionali davanti a un computer, programmare, costruire sistemi complessi, e al tempo stesso fallire miseramente in compiti scolastici di complessità banale. Non c'erano spiegazioni semplici. A volte mi dicevano che ero pigro, altre volte incapace, e altre ancora semplicemente diverso. Non avevo consapevolezza di una diversità cognitiva: la percepivo, la ignoravo, convivevo con essa senza poterla nominare. Per esempio, in classe, quando l'Insegnante mi chiamava a leggere ad alta Voce, iniziavo, ma dopo pochi secondi dovevo interrompermi. Riprendevo, poi mi fermavo di nuovo. Alla fine, quasi sempre, l'insegnante mi toglieva quel compito: la lettura era troppo frammentata, e io non riuscivo a spiegare perché. In quel momento mi sentivo goffo, incapace, senza capire davvero cosa stesse succedendo.
Da adulto, ho cominciato a chiedermi se avesse un nome questa diversità. Asperger, ADHD, Autismo, Dislessia: parole che girano facilmente, ma che non sembrano calzare davvero. Il punto non è la comprensione o la decodifica, che funzionano benissimo, ma il modo in cui il mio cervello si sincronizza (o non si sincronizza) con certe modalità di accesso alle informazioni.
In realtà, quello che emergeva era solo un disallineamento tra il mio funzionamento naturale e i canali richiesti dalla scuola e dalla lettura a stampa. Solo anni dopo ho cominciato a capire che non ero meno capace, ero semplicemente strutturato in modo diverso.
Quello che faccio oggi, Biblos compreso, non nasce dall'idea di compensare una mancanza. Nasce dal desiderio di togliere di mezzo attriti inutili. Biblos non serve a rendere le persone “più capaci”. Serve a permettere alle persone di usare il canale che per loro è naturale. Per chi non vede, certo. Ma anche per chi vede e si è sempre sentito fuori posto dentro strumenti pensati per altri.
La mia Storia, alla fine, è questa: per anni ho creduto di avere un problema. In realtà avevo solo strumenti sbagliati. Quando ho trovato quelli giusti, la lettura è diventata quello che è sempre stata, anche quando non riuscivo a farla: una forma di libertà.