Pedro Zurita, la mia attività internazionale al servizio dei minorati della vista
Pedro Zurita Aggiornato il 19/03/2008 11:25Premessa
Il tam-tam di un bimbo di campagna cittadino del mondo
Le diverse circostanze che hanno segnato la mia vita mi hanno condotto a trasformarmi in un autentico cittadino del mondo. Infatti il mio lungo viaggiare attraverso il nostro pianeta, per motivi personali e di Lavoro, mi ha consentito finora di conoscere ben novantacinque Paesi.
Fin dalla prima giovinezza cominciai a recarmi all'estero e, senza mai venir meno al mio amore per la regione dov'ero nato e avevo trascorso l'infanzia, le Asturie, mi andai formando una visione universale del mondo, convincendomi senz'alcun dubbio che gli Uomini, di qualsiasi parte della Terra, erano miei fratelli. Ho raccolto varie prove che i messaggi di speranza, che ho sparso come semi fra i non vedenti e gli ipovedenti gravi, non sono caduti in un terreno completamente sterile.
1. La mia infanzia e giovinezza
Quando qualcuno viene a sapere che nell'età infantile ci vedevo un pochino, accade spesso che nella gente sorga la curiosità di chiedermi se conservo qualche ricordo visivo, per esempio dei colori. Rispondo sempre sinceramente, dicendo che le mie esperienze visive sono state quelle di un bambino affetto fin dalla nascita da una grave minorazione visiva, l'infanzia del quale - fino ai dieci anni - è trascorsa in un villaggio asturiano, Sotu Cangues, nei pressi del santuario della Vergine di Covadonga.
Comunque è molto opportuno che io esprima come meglio mi riesce, l'impronta che le prime esperienze di vita nelle Asturie hanno lasciato in me.
Quando ero piccolo, possedevo un modesto residuo visivo utile, e, grazie ad esso, mi si sono impresse nella mente alcune memorie incancellabili.
Il bianco lo associo alla neve, che nelle giornate invernali vedevo attraverso le finestre della mia casa e con la quale con gran piacere giocavo per la strada; il verde è l'erba fresca dei prati; il nero lo collego al carbone che tenevamo in casa per riscaldarla e per cucinare...
Mi ricordo anche perfettamente che i miei compagni d'infanzia parlavano spesso con palese ammirazione dei pesci che scorgevano nelle acque del fiume che passava per il nostro abitato, scena che io, per le mie limitate capacità visive, non sono mai riuscito a cogliere di persona. Quello per me era come un sogno. Uno dei riti di iniziazione che praticavamo noi ragazzini del villaggio consisteva in questo: se uno di noi scopriva in presenza di testimoni un nido, acquisiva il Diritto di diventarne il padrone quando fossero nati i piccoli. Anche questo rimaneva al di fuori delle mie capacità percettive. In un'occasione però, eccezionalmente, mi è stato concesso il privilegio di avere una gazza che si diceva potesse imparare a parlare come i pappagalli. Io invece riuscii a sentire solamente il suo caratteristico gracchiare.
Avevo appena quattro anni quando mio padre, maestro nella Scuola elementare del villaggio, mi insegnò a Leggere e a Scrivere l'alfabeto comune. Nonostante che, a partire dai sette anni, la mia Vista andasse diminuendo molto rapidamente, continuai a frequentare le sue lezioni con grande profitto. Stavo per compiere i nove anni allorché i miei genitori decisero, d'accordo con l'oculista che mi seguiva fin dai due anni d'età, di compiere le pratiche necessarie per farmi entrare in un collegio della O.N.C.E. Quindi nell'anno scolastico 1958-59, a dieci anni, feci il mio ingresso nell'Istituto Santiago Apóstol a Pontevedra.
Questo evento ebbe per me un significato ambivalente: mi sentii vittima dell'Educazione segregata che comportava l'indubbio allontanamento dal mio Ambiente familiare, cosa sempre non desiderabile; allo stesso tempo però mi offrì l'opportunità di riprendere la mia Istruzione in una struttura dotata di tutti i sussidi adatti alle mie specifiche necessità. Apparve subito chiaro che ciò che mio padre aveva fatto per me nel campo educativo non era stato affatto inutile, tanto è vero che durante il primo anno di Scuola fu pienamente riconosciuta la validità dell'insegnamento concernente le prime quattro classi della Scuola primaria. A tal punto mio padre aveva saputo istruirmi ed io applicarmi, che il secondo anno avrei potuto passare alla Scuola media; ma la direzione del collegio di Pontevedra valutò che fosse prematuro trasferirmi all'Istituto di Madrid, dove si proseguivano gli studi fino al conseguimento del diploma della Scuola Media di primo grado. Così, per non perdere tempo, iniziai lo Studio del francese come Materia complementare, scoprendo in me una certa attitudine ed una inequivocabile passione per le lingue straniere.
Questo Speciale interesse si manifestò con maggiore evidenza quando, nel 1961, fui inviato a Madrid, all'Istituto Inmaculada Concepción della O.N.C.E. Siccome non mi permettevano di frequentare più di una classe all'anno, mi dedicai progressivamente all'apprendimento delle lingue, in aggiunta ai normali programmi scolastici. Proseguii col francese e in seguito iniziai lo Studio dell'inglese. Riuscii ad ottenere una Speciale autorizzazione a frequentare le lezioni della Scuola Centrale di Lingue e un corso di inglese con un professore privato. Perfezionai la conoscenza del francese e dell'inglese e presto cominciai lo Studio del tedesco, del russo e dell'Italiano. Quando mi iscrissi all'Università, avevo una buona padronanza di questi idiomi, che completai durante vari corsi estivi, prima in Francia, poi negli Stati Uniti, Inghilterra, Germania, Austria, Italia e Russia.
Mentre mi trovavo ancora nel Collegio della O.N.C.E. a Madrid, un professore cieco della Scuola media, Àngel Figuerola, mi trasmise l'amore per l'esperanto. Mi resi conto molto presto che questa Lingua non solo è molto facile (ha solamente poche regole grammaticali senza eccezioni), ma possiede altresì un'immensa capacità espressiva, senza ambiguità. Sono sempre rimasto un entusiasta difensore della nobiltà del movimento esperantista, il quale, rispettando tutte le lingue locali, chiede l'impiego di una Lingua ausiliaria internazionale allo scopo di promuovere una comunicazione fra i popoli priva di qualsiasi discriminazione tra persone di culture e lingue diverse.
La padronanza delle lingue si rivelò in seguito un mezzo preziosissimo per lo svolgimento di attività internazionali. Già ai tempi dell'Università appresi abbastanza bene il portoghese e il catalano, un po' di greco moderno, giapponese, polacco e serbo. In questi ultimi anni la mia grande sfida è quella di imparare il cinese; inoltre sto perfezionando il polacco, il rumeno e il bulgaro. Cerco pure di assimilare bene l'asturiano che, nella mia regione, vuole promuoversi come Lingua di uso Quotidiano al di là delle sole manifestazioni folkloristiche.
2. Attraverso il mondo
Le mie migrazioni internazionali ebbero inizio con la frequenza di brevi corsi estivi all'estero, ai quali, a partire dal 1968, si aggiunsero, dopo aver partecipato al Congresso Universale di Madrid, vari congressi internazionali di esperantisti, specialmente non vedenti. Quale membro della delegazione spagnola presenziai, per la prima volta nel settembre 1973, a Oslo, ad una conferenza europea sul Braille e, negli anni successivi, ad altri incontri internazionali in Svezia, Grecia, Olanda, Francia, Germania, Brasile, Italia, Panama, Russia, Antille olandesi, Kenia, Arabia Saudita... Fui chiamato a far parte di parecchi comitati e commissioni internazionali, finché nell'ottobre 1986 l'Esecutivo dell'Unione Mondiale dei Ciechi mi elesse Segretario Generale di quella organizzazione.
La mia attività lavorativa ebbe inizio nel 1966, come professore di inglese e francese presso la Scuola di Fisioterapia della O.N.C.E., e un anno più tardi essa si ampliò con l'insegnamento dell'inglese nel collegio di Madrid. Nel 1973 fui nominato ufficialmente direttore del Dipartimento delle Relazioni Internazionali della sede centrale dell'organizzazione nazionale dei ciechi spagnoli, ente presso il quale, fra l'ottobre 1985 e il giugno 1986, diressi la sezione per le attività sociali.
Nei quattordici anni in cui sostenni la responsabilità di Segretario Generale dell'Unione Mondiale dei Ciechi e nei trentacinque in cui lavorai in varie missioni per le relazioni internazionali della O.N.C.E., mi sono sforzato di cooperare con tutti coloro i quali, nelle diverse parti del mondo, si impegnavano nella lotta per conseguire l'utopica costruzione di una società veramente aperta a tutti, nella quale ciascun essere Umano, con le proprie caratteristiche individuali, potesse vivere e interagire con gli altri positivamente.
Il grave Incidente automobilistico che subii in un viaggio di Lavoro in Marocco il 9 gennaio 1997 mi spinse in seguito a non candidarmi, in occasione dell'assemblea generale del 2000, per la rielezione alla carica che ricoprivo in seno all'Unione Mondiale dei Ciechi. Ero veramente costretto a condurre una vita più tranquilla. Presi subito questa decisione, manifestandola pubblicamente.
Lasciata la segreteria generale dell'U.M.C., mi dedicai a tempo pieno alla O.N.C.E. Questa organizzazione, che, per tutta la mia lunga e complessa attività internazionale mi aveva generosamente fornito i mezzi affinché il Lavoro nella sede di Madrid si svolgesse con soddisfacente efficacia e perché potessi recarmi là dove ritenevo che la mia presenza potesse essere utile, mi nominò, dal luglio 1999 al giugno del 2000, Direttore del nuovo ufficio Tecnico europeo in seno al Consiglio Generale dell'O.N.C.E. Nel marzo del 2001 mi affidò la direzione del reparto commerciale del Cidat, il suo centro tecnologico; infine nel marzo 2004, entrai come Traduttore nell'Ufficio Istruzione della sede centrale della O.N.C.E. stessa, dove rimasi fino al pensionamento, avvenuto alla fine dell'aprile 2005. Posso affermare di aver goduto di tanta amicizia ed affetto da parte dei miei ultimi dirigenti e colleghi che me lo hanno dimostrato con tangibile evidenza.
Lavorando in campo internazionale, ho vissuto come un pesce nell'acqua. Dopo aver deciso spontaneamente di non ripresentarmi, nel novembre 2000, alla rielezione di Segretario Generale della U.M.C., attingendo alle mie risorse personali, feci una donazione a questa organizzazione internazionale, affinché contribuisca alla realizzazione delle aspirazioni vitali dei giovani ciechi, soprattutto di quelli che risiedono nei Paesi in via di sviluppo. Nel 1999 l'Esecutivo della U.M.C. aveva votato all'unanimità la risoluzione di costituire il «Fondo della Gioventù Pedro Zurita». Lasciando il mio incarico, assunsi l'impegno morale di elargire annualmente una certa somma in favore di tale Fondo.
3. Riconoscimenti
La Federazione francese dei Disabili Visivi, due organizzazioni di ciechi polacche, l'Associazione dei Ciechi Ungherese, l'Unione dei Ciechi Bulgara, mi hanno onorato con vari riconoscimenti.
- Nel 1984 il Consiglio metropolitano di Parigi mi assegnò la propria medaglia d'argento.
- Nel 1997 la Delegazione Territoriale della O.N.C.E. a Madrid mi assegnò la decorazione «Bastone d'Argento».
- Nel 1996 ricevetti dall'Unione Latinoamericana dei Ciechi la sua medaglia d'oro «Jorge Taramona».
- Nel 2002 il Centro Asturiano di Madrid mi gratificò con la sua più alta ricompensa: «La Mela d'Oro».
- Nel novembre 2000, nella quinta assemblea dell'U.M.C. a Melbourne (Australia), i delegati decisero di assegnarmi la «Medaglia d'Oro Luigi Braille» e di eleggermi «Membro Onorario a vita» di quella organizzazione internazionale.
- Per me tuttavia fu particolarmente significativo il fatto che l'Associazione Nazionale dei Sordociechi Spagnola mi nominasse, nel marzo 1998, suo socio onorario.
4. Immagine Sociale della cecità
Non ci si deve illudere. In ogni parte del mondo la cecità, o l'ipovisione grave, alle proprie difficoltà oggettive ed inequivocabili devono aggiungere, in misura variabile, ingiusti pregiudizi e idee erronee. Non ho la pretesa di analizzare qui le risposte adeguate a tale problematica. Limitandomi alla realtà spagnola, posso affermare senza riserve che oggi la O.N.C.E. è ben nota e ammirata nel nostro Paese e che di giorno in giorno anche all'estero si espande la sua Immagine positiva. Non desidero nemmeno soffermarmi a valutare le scelte effettuate in ciascun Paese per cercare di rispondere ai bisogni e alle preoccupazioni dei minorati della Vista. Benché si conoscano sempre meglio le soluzioni proficue adottate qui e là, i modelli concreti d'azione differiscono notevolmente fra una regione e l'altra della Terra, e ritengo che le opportunità di impiego offerte ai ciechi di Paesi anche molto vicini divergano assai più di quelle riguardanti i cittadini vedenti delle stesse Nazioni.
Oggi si parla molto di globalizzazione, intesa però solamente come Orientamento neoliberale sul piano economico, cosa non certo molto efficace, almeno per quanto concerne le categorie svantaggiate. Le persone o i movimenti che non concordano con l'applicazione di tale concezione della realtà sono tacciati, generalmente, da antiglobalisti. Non è esatto, poiché fra noi, pur riconoscendo i vantaggi e gli inconvenienti di una conduzione strettamente economica, in molti siamo convinti sostenitori della globalizzazione, caratterizzata però da un Orientamento inequivocabilmente umanitario; chiediamo cioè che le ragioni sociali ed un'autentica uguaglianza di opportunità siano tenute nella massima considerazione.
Nel corso di tutta la mia attività professionale, e soprattutto negli anni in cui ho ricoperto l'incarico di Segretario Generale dell'Unione Mondiale dei Ciechi, U.M.C., mi sono sforzato di sentire e pensare secondo un'ottica internazionale, cioè come cittadino del mondo. Il più delle volte i problemi fondamentali che ci assillano possono essere affrontati meglio seguendo un indirizzo transnazionale. Pensiamo, per esempio, alle soluzioni tecnologiche, che ci vengono schiudendo vie di accesso all'Informazione scritta fino a poco tempo fa totalmente precluse. Questo messaggio di una reale uguaglianza di opportunità è stato compreso benissimo in ogni parte del mondo dove ho avuto la possibilità di diffonderlo. Un non vedente di Singapore dichiarò pubblicamente che l'immenso valore che rivestivano a suo parere gli incontri del nostro movimento internazionale consisteva nell'occasione di poter avvicinare modelli degni di essere imitati.
A volte, con sincerità ed energia, si è parlato, in seno alla U.M.C., di trasformare questa organizzazione in una realtà veramente democratica, dotandola dell'Indipendenza economica indispensabile per conseguire tale scopo. Così, ad esempio, quando si fosse trattato di eleggere qualcuno per occupare una carica importante, sarebbero prevalse le doti personali e non il fatto che dietro al candidato c'era un Ente generoso e ben provvisto di mezzi per appoggiarlo. Non potrei concordare di più con questo principio; perciò ho molto sofferto constatando che nel nostro movimento internazionale non esisteva un'autentica interazione fra uguali. Lontana da me la pretesa di attribuirmi alcuna medaglia; tuttavia, quando nel 1986 fui eletto per la prima volta alla carica di Segretario Generale, i Paesi membri dell'U.M.C. erano una sessantina, mentre nel novembre 2000 contavamo ben 156 Stati membri. Tale bilancio va ben al di là della mania di un collezionista di Paesi. Mi sono sforzato invece di scoprire le soluzioni teoriche e pratiche che si dimostrassero valide in qualsiasi comunità in cui ciascuno viveva, nonché di trasmettere informazioni riguardanti i migliori referenti su servizi e prodotti, affinché quella che in taluni luoghi sembrava un'utopia divenisse una meta degna di lotta per la sua conquista.
Ricordo che nel 1981, Anno Internazionale delle Persone con Disabilità, dopo aver assistito alle riunioni dei Consigli Esecutivi delle Organizzazioni Internazionali dell'epoca, l'O.M.P.S.A. e la F.I.C., partecipai ad una affollatissima manifestazione organizzata a Göteborg (Svezia), nella quale uno degli slogan esposto a caratteri cubitali in un grande manifesto diceva: «Il vostro contegno è la nostra maggiore disabilità». Lo so che il problema non è semplice, tuttavia l'essenziale è rendersi conto che è indispensabile cercare che le difficoltà o i deficit siano considerati nella loro oggettiva realtà, senza complicarli con problemi immaginari. Di fronte a un effettivo ostacolo dobbiamo assumere l'atteggiamento che consiste nel porci la domanda: «cosa possiamo fare per superarlo?», senza limitarci a compatire la persona per la crudeltà della sorte che si è accanita su di lei.
Per chiarire meglio il mio pensiero, citerò alcuni esempi reali tratti dalle mie personali esperienze:
Ricordo quel professore di Italiano della Scuola Centrale di Lingue di Madrid, che non era disposto ad accogliermi nella sua classe, argomentando di non conoscere la metodologia Speciale relativa ai non vedenti. Alla fine del corso invece mi conferì il premio destinato all'Allievo più brillante della classe.
A Roma il responsabile dell'organizzazione di uno dei corsi estivi di russo a Mosca, non voleva nemmeno lui accettare la mia iscrizione; modificò completamente il suo atteggiamento dopo che mi si presentò l'occasione di intrattenermi con lui personalmente.
Nel 1971 seguivo uno dei corsi estivi a Cambridge e mi iscrissi a un seminario di Semantica. Durante la prima lezione il professore titolare della Materia mi mise in mano degli schemi in Rilievo fatti da lui, con etichette in Braille incise con una penna, utilizzando l'alfabeto Tattile che egli mi aveva richiesto senza dirmene lo scopo.
Intorno al 1964, una professoressa di russo nella Scuola di Lingue, accortasi che il mio Libro in Braille era diverso da quello utilizzato in classe, rimaneva con me nell'intervallo fra le lezioni per aiutarmi a superare talune difficoltà.
Agli inizi del 1996 la direttrice di una ditta per la consegna dei pasti a domicilio a Madrid (Dietcathering), venuta a sapere che non ci vedevo, andava cercando il modo perché riconoscessi i contenitori delle pietanze che mi mandavano. Grato di tanta buona volontà rivolta all'integrazione, le regalai una mini-Tavoletta Braille, recante sul retro i caratteri dell'alfabeto in Rilievo, riprodotti in nero, perché facessero delle etichette da poter Leggere. Immediatamente applicarono questo sistema, con piena soddisfazione da parte mia, per tutto il tempo in cui quella ditta rimase aperta.
Una commessa del reparto dischi del grande magazzino «Corte Inglés», quello della Puerta del Sol a Madrid, confidatele le mie difficoltà nell'acquisto dei dischi che desideravo, perché avrei dovuto cercare qualcuno disposto a leggermi delle liste anche molto lunghe, subito si offrì di prestarmi la propria collaborazione. Sono passati molti anni, ma tuttora essa mi aiuta nelle mie ricerche, addirittura prima che io mi rechi al negozio per comprare ciò che desidero, naturalmente previa comunicazione. Ultimamente i suoi superiori le permettono di compiere lo stesso servizio quando desidero acquistare qualcosa, anche in altri reparti dello stesso negozio.
Ho già detto precedentemente che il mio viaggiare per il mondo ha infuso e rinforzato in me l'idea che, essenzialmente, noi esseri umani siamo tutti uguali, indipendentemente dalla Cultura e dal luogo dove ognuno è cresciuto. Posso dimostrare che certi messaggi di speranza e di emancipazione sono stati compresi dappertutto, e quando mi applaudivano nelle assemblee mondiali, gli Africani, gli Asiatici e i Latinoamericani erano sempre quelli che manifestavano con più calore il loro entusiasmo.
5. Esempi incoraggianti
Nella mia attività internazionale ho sempre cercato di rendere noti esempi di persone che avevano dato una lezione incoraggiante con il loro affermarsi nella vita superando ogni ostacolo per la conquista di una posizione apprezzabile nell'Ambiente in cui la sorte li aveva portati a vivere.
Alcuni possono pensare che l'atteggiamento ottimistico di considerare la cecità come una caratteristica piuttosto che una limitazione sia in aperta contraddizione con quella che dovrebbe essere la nostra meta preminente: fare in modo che la cecità e la minorazione visiva grave scompaiano del tutto dal mondo. In realtà, pur ratificando il Diritto prioritario alla Vista e, pertanto, lottando senza tregua per sradicare dovunque la cecità evitabile, noi difendiamo con assoluta convinzione l'idea che non vedere non è sinonimo di non potere.
Crediamo infatti che, salvo casi eccezionali di individui affetti da minorazioni psichiche, qualsiasi essere Umano aspiri per sua natura a raggiungere i livelli più alti e soddisfacenti consentiti dalla propria condizione Fisica e mentale.
Col prezioso aiuto della O.N.C.E., la U.M.C. pubblicava in inglese, francese e spagnolo, la Rivista «I ciechi nel mondo», attraverso la quale facevamo conoscere quelle persone che, in qualsiasi Nazione, erano riuscite a vincere il pregiudizio che continuamente cerca di ostacolarci; fornivamo pure informazioni su coloro che ritenevamo dotati di qualità eccezionali. Sono convinto che nel nostro caso l'eccezione non conferma la regola. Ho conosciuto ministri ciechi in Svezia, nel Regno Unito, Zambia, Lesotho e Niger. Ho incontrato parlamentari in Spagna, Italia, Russia, Svezia, Perù, Costa Rica, Giappone...; diplomatici privi di Vista negli Stati Uniti, Germania, Panama...; interpreti simultanei nell'Organizzazione Europea per la Sicurezza e la Cooperazione a Vienna, all'Unione Europea a Bruxelles, nel Parlamento Europeo di Strasburgo, ad Algeri...; professori a tutti i livelli di insegnamento. In quest'ultimo campo i casi più incoraggianti li abbiamo trovati in Italia e in India, dove più di mille non vedenti per ciascun Paese insegnano in scuole per giovani vedenti. So di un medico che esercitava in Inghilterra, di psichiatri in Francia, Stati Uniti, Giappone...; fisioterapisti e massaggiatori in molti Paesi europei; massaggiatori e agopunturisti in vari Stati dell'Estremo Oriente...
Nell'ottobre del 2000, a Parigi, in una conferenza mondiale sul massaggio e la Fisioterapia per non vedenti soprattutto europei, ho visto realizzato finalmente il mio sogno: che si dedicasse cioè una sessione affinché esperti dell'Estremo Oriente condividessero con gli Occidentali la propria esperienza nel campo dei trattamenti medici manuali. In tal modo si stabiliva, almeno su questo terreno, un vincolo fra l'Est e l'Ovest.
Ho conosciuto anche un magnifico attore francese il quale, perduta la Vista da molto giovane, era riuscito a riadattarsi a tal punto da continuare a calcare le scene con pieno successo. In molti Paesi possiamo incontrare ormai programmatori informatici a livelli elevati. Sia all'Est che all'Ovest troviamo molti ciechi che esercitano professioni connesse all'uso del Telefono. Il caso più noto è quello dell'Italia, dove questa attività occupazionale è la più diffusa fra i non vedenti.
L'impressione, abbastanza estesa, che esista un'equivalenza fra cecità e buone attitudini musicali, è erronea. È innegabile che l'esercizio di quest'arte è Accessibile ai ciechi e agli ipovedenti, purché siano ben dotati per la musica. Non mancano esempi di persone che in varie espressioni musicali hanno raggiunto addirittura fama mondiale. Io stesso ho avuto la fortuna di conoscere personalmente alcuni di questi musicisti.
In molti Paesi ci sono ancora operai occupati nell'Industria e in Giappone ne ho visti alcuni che manovravano macchine digitalizzate. Nelle zone rurali dei Paesi in via di sviluppo, compresa però anche la Bretagna (Francia), ci sono pure degli agricoltori.
È inoltre ben nota la positiva attività della O.N.C.E., attraverso la vendita dei biglietti della sua specifica lotteria, e mediante la creazione di opportunità lavorative nella sua complessa rete amministrativa e di servizi, compreso il suo consorzio imprenditoriale e la Fondazione O.N.C.E., Ente quest'ultimo che si propone di ampliare anche le possibilità di Lavoro per le persone colpite da Handicap diversi dalla cecità.
Per quanto esistano attività professionali indubbiamente più idonee per i minorati della Vista, non vale l'affermazione che ci siano occupazioni esclusivamente per ciechi. Qui o là si possono trovare non vedenti che svolgono con soddisfazione attività professionali insolite. Assai spesso tali casi vengono etichettati sbrigativamente come eccezioni. Il fatto vero è invece che gli interessi e le qualità personali devono essere i fattori determinanti nella scelta delle opzioni occupazionali. Tali esempi dimostrano proprio che la cecità non rappresenta un ostacolo insuperabile. Ai nostri giorni è pure importantissimo un uso intelligente delle opportunità offerteci dalle nuove tecnologie.
6. Conclusione
Molti fra coloro che ricoprono cariche a livello internazionale, compreso il nostro movimento, sono motivati soprattutto da ragioni di prestigio: li esalta trovarsi su un podio e possedere un biglietto da visita con una lunga lista di cariche. Io invece ho sempre cercato che mi si considerasse un uguale fra uguali, e so che i partecipanti alle assemblee mondiali apprezzavano molto che li conoscessi quasi tutti di persona.
Ho sempre pensato che in un Lavoro come quello da me svolto gli effetti delle iniziative non potevano essere immediatamente visibili; tuttavia, col passare del tempo, molte volte cogliamo i frutti delle buone sementi.
Nel dicembre 2001 ricevetti una lettera dalla Costa d'Avorio, da un Allievo che mi aveva conosciuto nella Scuola di Abidjan, che avevo visitato nel 1987. Egli concludeva la sua missiva con un messaggio che ritengo molto incoraggiante: «Chi batte il tam-tam non sa quanto lontano arriveranno i suoni che egli produce».
Sono fermamente convinto che valga la pena continuare la lotta per inseguire l'utopia di un mondo fatto veramente per tutti.
Pedro A. Zurita