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Mi Presento: Franca, La Forte (Racconto)

Pubblicato il 19/05/2009 08:00 
 

Eccola lì, la mia nuova valigia verde smeraldo... ho girato tutti i negozi della città per trovare la valigia giusta per questo viaggio, una che m'ispirasse fiducia nel futuro, che mi regalasse un po' di ottimismo e di allegria. Ed ora eccola lì, sul nastro trasportatore, che viaggia verso la pancia del Boeing 747 che ci porterà via di qui. Ma guardala! Sembra sculettare mentre si allontana. Che impudente!

"La sua carta d'imbarco, signora..."

La Voce dell'addetta al check-in mi scuote dai miei pensieri. Ha uno sguardo divertito... è in combutta con la valigia, ci scommetto! Chissà cosa le ha raccontato quella spudorata, mentre la signorina le applicava l'etichetta coi dati del nostro volo. Ah, ma quando la becco al ritiro bagagli di Francoforte, facciamo i conti.

Scommetto che le ha detto che ci ho messo quattro ore per decidere quali vestiti portarmi dietro. Ho tirato fuori mezzo armadio, alla Ricerca della gonna giusta per il mio primo giorno di Lavoro nel nuovo ufficio; una gonna che non fosse troppo corta ma che, allo stesso tempo, non mi facesse sentire come la signorina Rottenmeyer. Ho provato e riprovato accostamenti di pullover, camicie, foulard e orecchini. Ho scalato i ripiani più alti del guardaroba alla Ricerca di quel paio di guanti di camoscio che non usavo da anni, ma che si sarebbero abbinati perfettamente col mio nuovo montone. Per non parlare di quanto ho scavato nei cassetti, alla Ricerca dei collant della tonalità giusta. Magari le ha raccontato anche che mi son messa a piangere, quando ho sfilato dal comò la camicia da notte di raso blu, che lui mi ha regalato per la nostra vacanza d'amore a Verona...

Con la mia carta d'imbarco stretta fra le mani, come fosse il gancio di un traino, di cui io sono il rimorchio, mi dirigo alla vetrata della sala d'attesa.

E' una giornata splendida: l'aria gelida di fine gennaio, rende l'azzurro del cielo ancor più cristallino. Dietro la pista d'atterraggio, l'orizzonte è disegnato dai picchi innevati delle prealpi che sembrano tenersi per mano e ballare un allegro e sgangherato girotondo sotto i raggi di un tiepido sole pomeridiano.

“Partire è un po' morire” scriveva Haracourt... no, non sono d'accordo, caro Edmond, perlomeno, non questa volta. Questa volta, per me, partire è un po' rinascere e quelle Alpi laggiù sono la cervice attraverso la quale dovrò spingermi prima di poter inalare la mia prima, vera boccata d'aria. Proprio come un feto giunto a maturazione, questo posto cominciava a starmi stretto, a farmi soffocare: tutti quegli sguardi da parte degli amici e dei colleghi, quei tentativi maldestri dei miei parenti di essere gentili e mostrarmi simpatia e che, loro malgrado, traboccavano pietismo e commiserazione... e poi c'era lui. Ovunque mi girassi c'era qualcosa che mi faceva pensare a lui: la macchinetta del caffè davanti alla quale ci siamo visti per la prima volta, la fermata dell'autobus alla quale scendeva, lanciandomi un bacio furtivo, l'odore del riso Tandoori che tanto amava, persino la confezione di Biscotti al cacao con la quale facevamo colazione nel suo letto, la domenica mattina... tutto questo mi premeva sul petto come un macigno che mi tenesse sott'acqua.

Ero ancora molto debole quando, dopo un mese di convalescenza, sono rientrata in ufficio. Debole e con poca, pochissima voglia di riprendere la mia solita vita, come aveva suggerito lo psicologo al quale ero stata affidata dopo quell'orrenda lavanda gastrica. Ma quale “solita” vita? Nella mia “solita” vita c'era lui e ora, invece, non c'è più. Razza di incapace di uno strizzacervelli! Dove lo vedi il “solito”?

Mancava una settimana al Natale e la tristezza della solitudine era diventata una morsa che m'impediva di respirare. Per quanto lottassi, non riuscivo a liberarmene. Quella mattina,dopo aver preso il caffè al terzo piano, per evitare la “macchinetta galeotta” del primo, ed essermi seduta alla scrivania già ricoperta di comunicazioni e post-it della segreteria, ho acceso il PC e, molto svogliatamente, ho scorso gli ultimi annunci dell'intranet aziendale. FRANCOFORTE. Improvvisamente tutto ciò che era attorno a me è svanito. Era come se quel nome mi avesse risucchiata dentro lo Schermo: si apriva una posizione alla filiale di Francoforte ed io avevo tutte le credenziali necessarie. Più ci pensavo, più quell'annuncio aveva il sapore di una promessa.

“Perchè no... – avevo pensato – Francoforte... Franca, la forte... ma sì una spolveratina al mio tedesco ed un taglio netto col passato.”

Mi sono affrettata a compilare il modulo di richiesta di trasferimento, allegando curriculum vitae e dati aziendali, con una eccitazione che non sentivo da un secolo. La morsa aveva cominciato ad allentarsi, il cuore mi pareva più leggero ed il sangue stava riprendendo a fluire, caldo, nelle mie vene.

La Musica di sottofondo cattura la mia attenzione: è Al Stewart che canta “The Year of the Cat”! Quanto ho amato quella canzone. Era l'estate del mio primo anno all'Università e mi ero appena messa con Giacomo. Lui sì che mi faceva sentire bene: tutto era semplice con lui, mi accettava per quella che ero, faceva progetti reali, concreti e non si aspettava che il mondo girasse attorno a lui. Potessi tornare indietro non lo lascerei mica... e invece volevo emozioni forti, un amore che mi trascinasse “verso l'infinito e oltre!”.

Che stupida sono stata! Com'è che diceva il frate a Romeo? Non ricordo le parole esatte, ma era qualcosa del tipo: “queste delizie travolgenti hanno connclusioni travolgenti...” travolgenti e dolorose! Ma perchè nessuno ti insegna queste cose?

Annunciano il mio volo, appena in tempo! Mi stavo lasciando trascinare dalla melancolia, per l'ennesima volta. E' ora di andare: Francoforte preparati: sto arrivando.

La hostess mi mostra il mio posto: è vicino al finestrino, una vera fortuna. Accanto a me si accomoda un distinto signore di mezza età: abito grigio fumo-di-Londra, camicia di un azzurro pallidissimo e una splendida cravatta che, coi suoi riflessi lucido-opachi sembra intrecciare il turchino delle spiaggie sarde con il blu-petrolio di una notte ferragostana. Il viso è rasato di fresco, i capelli corti e brizzolati al punto giusto, le mani curate ed affusolate... ha tutto l'aspetto del perfetto businessman in viaggio di Lavoro. Mi saluta con un lieve cenno del capo, si accomoda sulla poltroncina e, dopo essersi sistemato la giacca in maniera tale che non si stropicci ed essersi allacciato la cintura di sicurezza, sfila dalla valigetta “Il Sole 24 Ore” e si mette a Leggere... mi sa proprio che sarà un lungo viaggio.

Il Pilota si presenta, ci ringrazia per aver scelto la sua linea aerea, snocciola qualche numero a proposito dell'altitudine ed alla velocità alla quale voleremo ed all'orario di arrivo previsto e comincia a rollare. Come l'aereo si stacca dalla pista tiro un faticoso sospiro: il mio stomaco è rimasto un paio di metri più indietro e cerco di recuperarlo. Quando, finalmente, raggiungiamo quota, ci ricongiungiamo e mi sento libera di guardare fuori dall'oblò: sotto di noi sfilano i picchi imbiancati , le piste brulicanti, i boschi rigogliosi e qualche sparuta stradina di montagna che, come un bandolo sfilato alla sua matassa, si srotola nella neve, sparendo alla Vista per poi riapparire dietro un dosso o un braccio di bosco.

Questo viaggio mi procura sensazioni altalenanti: un momento ho una gran paura al pensiero di dover ricominciare tutto daccapo, in una nuova città, in un nuovo ufficio, parlando addirittura una nuova Lingua e senza conoscere nessuno; il momento dopo tutto questo mi emoziona come una ragazzina al suo primo appuntamento. Questa notte, mentre cercavo inutilmente di addormentarmi, ho immaginato la mia nuova casa. Fino ad ora l'ho Vista solo nelle fotografie che l'ufficio del personale di Francoforte mi ha inviato via e-mail: è ben arredata e pare non le manchi nulla: ci sono persino le tende alle finestre, apparentemente in filet bianco e azzurro... deliziose! Comunque ho già in mente di invertire la posizione del divano e del mobiletto TV e devo assolutamente trovare un copriletto colorato, per dare un po' di allegria a quel mortorio di camera, tutta in color avorio. Nelle mie fantasticherie ho persino immaginato di poter trovare il mio vero amore a Francoforte. L'ho immaginato alto, biondo - e come altro potrebbe essere un tedesco? - occhi rotondi e azzurri come il cielo che ora mi accoglie, zigomi alti , mascella volitiva; un collo un po' taurino, un ampio torace dalla Pelle calda e morbida, e coi muscoli ben disegnati e braccia poderose che mi avrebbero stretta appassionatamente... chissà com'è amare un Uomo che ti dice “Ich liebe dich”, nei momenti di intimità? Mi scappa da ridere... il businessman qui accanto mi lancia uno sguardo di sott'ecchi: mi sa che mi ha presa per scema.

“Posso offrirle qualcosa da bere?”

Dice una giovanissima hostess, dai lunghi capelli neri e fluenti, ed un fisico perfetto esaltato dalla divisa rosso fuoco.

Dopo quella che chiamo la mia “notte più buia”, non bevo più alcolici. Prendo, quindi, un gingerino, insieme al quale Alessia –questo il nome scritto sul badge – mi offre un pacchetto di noccioline. Il businessman, invece, ci va giù pesante e chiede un whisky e, mentre Alessia riempie il bicchiere, fruga nella tasca interna della giacca alla Ricerca del portafoglio.

Ho deciso che non mi piace: ha un modo di fare troppo altero ed impettito. L'esatto contrario dell'identikit dell'Uomo perfetto che mi sono creata stanotte. Il mio Uomo ideale è più rilassato, più disinvolto e, soprattutto, più sorridente: non tiene le labbra serrate come fa questo qui, non si preoccupa se la giacca si sgualcisce un po' e quando viaggia passa il tempo a guardare il panorama fuori dal finestrino o ad osservare i suoi compagni di viaggio, magari fantasticando sulle loro storie. Scommetto che il businessman non è sposato: ha troppo da fare, fra riunioni e bilanci per potersi dedicare ad una compagna.

Quando, dopo aver riposto il portafogli, sfila la mano dalla giacca, osservo le dita: ha la fede! Non ci posso credere, che razza di Donna ha avuto il coraggio di sposare questo stoccafisso?

La mia immaginazione prende il volo. Vedo le pagine della sua agenda: ore 9 esame dati semestrali; ore 13 colazione con Asso Pigliatutto; ore 18 arrivo dottor Chissonoio – Facciotutto SpA – possibile fusione?, ore 20 ritorno a casa e cena con mia moglie; ore 22 Sesso con mia moglie... mi scappa di nuovo da ridere. Questa volta il businessman ha la conferma che aspettava: sono proprio scema.

Il paesaggio fuori dall'oblò si sta tingendo di arancione e rosso e sotto di noi, ora, si snodano le vie trafficate di una larga periferia urbana. Poco più in là un serpente dalle scaglie come paillettes blu, verdi e arancioni, sfavilla sotto il tramonto: è il Meno che, pigramente, scivola attraverso la città. E' lì che andrò a fare footing la sera, dopo il Lavoro e, forse, proprio lì conoscerò il biondo bronzo di Riace che ho sognato...

Francoforte è vicina e così anche il mio futuro.

La spia luminosa ci invita ad allacciare le cinture di sicurezza, raddrizzare gli schienali delle poltrone e chiudere i tavolini. comincia la discesa ed il mio stomaco pare nuovamente volermi lasciare sola. Che diamine! Lo so che non ti ho trattato molto bene ultimamente, ma ti ho chiesto scusa ed un'altra possibilità potresti anche offrirmela...

Atterraggio perfetto. Lo stomaco ritorna da me, cominciano a sentirsi i “clic” delle cinture che si slacciano e la gente comincia pigramente a stiracchiarsi, alzandosi dai sedili. Senza quasi muovere le labbra, il businessman sussurra un'educato “arrivederci”, e si allontana, perfettamente inamidato.

Mentre ci avviamo lungo il tunnel che ci porterà al ritiro bagagli, mi torna in mente la mia valigia verde e comincio a sculettare come lei, galleggiando gioiosamente sui miei tacchi alti, con uno strano senso di sicurezza che mi sta, lentamente, sbocciando dentro: questo è il posto giusto, qui posso ricominciare.

Buona sera, Francoforte, mi presento: sono Franca, la forte e son lieta di conoscerti.

Fernanda Flamigni

(Racconto apparso su Biblos Teller 1)