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La Parentesi Elvetica - Da “Un Cieco che Vede” del prof. Antonio Greco

Aggiornato il 16/06/2021 08:00 
 

Altra occasione migliore non si poteva presentare per le mie tanto desiderate vacanze: la Svizzera.

In quella Confederazione si erano trasferiti molti miei paesani ed amici per motivi di Lavoro. Tra l'altro lì si era trasferita anche la mia ragazza Teresa, apparentemente anche lei per motivi di Lavoro, ma per altre vere ragioni che dirò in altra parte dei miei ricordi. Albergava a Zurigo con tre sue sorelle e il fratello maggiore. Mi rivolsi a lei, se poteva trovarmi un posto per dormire, per almeno quindici giorni, chè al resto ci avrei pensato io. Anche per lei fu come un tredici al totocalcio. Mi dimostrava molto attaccamento. Infatti io l'avevo abbandonata per un'altra ragazza, e lei, per distrarsi, aveva scelto l'esilio. Ma ci eravamo già riappacificati da lontano e quindi erano tornati anche in lei la fiducia e il sorriso.

In poco tempo fu trovato l'alloggio e gli amici che dovevano tenermi compagnia durante il mio soggiorno in Svizzera. Eravamo ancora nei mesi freddi, e io preferivo rimanere a godermi il nostro piacevole Clima. Perciò decisi di rimandare la partenza verso i mesi più caldi, cioè verso aprile-maggio. Intanto continuai a dedicarmi all'attività dell'Unione Italiana dei Ciechi di Lecce. Contemporaneamente non ho mai abbandonato l'interessamento e l'attività musicale.

Avevo ritirato dalla Biblioteca per ciechi "Regina Margherita" di Monza spartiti musicali completi di opere liriche, tra cui Traviata, Rigoletto, Barbiere di Siviglia e qualche altra, per studiarmi alcuni brani, preludi, sinfonie che mi sono sempre piaciuti, e ne trassi dei sunti, in parte simili, ma più brevi, a quelli che eseguono i concerti bandistici. Così trascorsi il periodo tra dicembre e la fine di aprile.

Ormai dovevo assecondare la decisione presa della vacanza in Svizzera, anche perché Teresa mi scriveva che già la mia stanza era impegnata e che quindi dovevo pagarla, anche se non la abitavo. Così decisi di fissare la partenza per la fine di aprile. Informai Teresa ed amici e aspettai il giorno fissato.

In quel periodo partivano ancora emigranti stagionali, ed io approfittai della compagnia di alcuni di loro e affrettammo i preparativi. Ormai potevo lasciare Castrignano, più tranquillo: mia madre si era ricoverata in ospedale per intervento oculistico, mio fratello Rocco aveva subito un intervento chirurgico allo stomaco per ulcera gastrica, Narduccio si trovava al servizio militare. Per fortuna, mia madre si era rimessa abbastanza bene; Rocco pure era uscito dalla prognosi riservata, e allora io potevo allontanarmi con maggiore tranquillità. A Lecce fui accompagnato, non solo dagli emigranti che partivano con me, ma anche da amici: in particolare il mio baritono Vito. Partii in aprile e arrivai in Zurigo a Maggio. Infatti ero partito il 30 di aprile di sera, e fui a Zurigo l'1 di maggio, dopo le 22, perché mi dovetti fermare a Chiasso per la visita medica a cui venivano sottoposti gli emigranti. Alla stazione di Zurigo mi attendevano mio cognato Meco e altri amici. Volli subito andare a riposarmi, perché il viaggio mi aveva particolarmente stancato. Infatti ero stato poco prudente: avevo mangiato abbondantemente e feci indigestione. Però andai a riposarmi ricco di descrizioni dei luoghi che avevamo attraversato in treno: i ponti sui fiumi, le Alpi, le lunghe gallerie, il paesaggio elvetico con numerosi greggi al pascolo ed altre primizie della mia fantasia. Mi addormentai e non ricordo nemmeno se sognai qualcosa.

La mattina seguente fui svegliato dalla padrona di casa per la colazione. Dal primo impatto mi sembrò una brava persona, di età un po' avanzata, ma molto sicura di sè. Seppi in seguito che era moglie di un pastore protestante, e quindi meglio mi spiegai le mie prime impressioni positive. In quella casa mi trovavo molto a mio agio: disponevo di una cameretta tutta imbottita in legno e servizi, molto confortevole. L'unico disagio era rappresentato dalla distanza della mia abitazione da quella dei miei parenti ed amici. Perciò si pensò di reperire un nuovo alloggio, compatibile con le mie esigenze di vicinanza alle persone amiche. La cosa risultò facile, perché proprio in quei giorni si era resa libera una camera nello stabile dei miei cugini Rizzo - Pranzo, oggi cognati.

Era un bel posto nella zona di Oerlikon. Ma riprendiamo il mio Racconto: dopo colazione vennero a prelevarmi gli amici che già avevano saputo del mio arrivo a Zurigo. Era il 2 maggio, di sabato, e molti lavoratori avevano la giornata libera. Ci riunimmo una diecina circa di amici e parenti e ci recammo a prendere il primo caffè in quella città. Ci introducemmo in un bel locale il cui gestore, (era una Donna di nome Pasquina), conosceva molto bene i miei amici. Consumato il caffè, mi fecero rilevare la presenza di un pianoforte a coda, e m'invitarono a fare una suonatina. Io feci notare il mio disagio, ma le insistenze furono tali e tante che dovetti accettare. Ci trattenemmo per quasi un'ora a rivangare canzoni moderne, folclore, lirica, liscio e un po' di tutto il mio repertorio. La signora Pasquina ne rimase molto entusiasta, tanto che, mentre ci accingevamo a lasciare il locale, mi chiamò in disparte e mi propose se volevo fare pianobar la sera per tre ore, per la durata di un mese. Mi avrebbe onorato con un compenso di 35 franchi a serata. (Si tenga presente che gli operai percepivano in quei tempi meno di due franchi all'ora). La proposta era allettante, ma io le feci rilevare che ero venuto in Svizzera a trascorrere solamente quindici giorni di ferie, quale premio per il conseguimento della mia laurea. Però le promisi che ci avrei pensato, e che perciò mi desse un giorno di tempo. Ne parlai con i miei "protettori" (gli amici e parenti) e convenimmo di accettare l'invito. I miei amici si offrirono a turno per farmi compagnia durante le ore del mio Lavoro. Tra i più assidui voglio menzionare Luigi Arcadi, Luigi Alemanno, Luigi Marino Salvatore, Leonardo Terìo e, in seguito, il fedele Vito Marini. A tutti il mio pensiero affettuoso e un grazie di cuore.

Utile e Dilettevole

Durante quel primo mese di Lavoro altri gestori di pubblici locali vennero ad osservarmi, e cominciarono le prenotazioni per i mesi successivi. Coi primi Soldi mi comprai il primo registratore a nastro: era un Grundig a batteria, per quei tempi, esteticamente gradevole e abbastanza fedele. Quella vita cominciò a piacermi e, tenuto conto che in Italia non avevo presentato nemmeno domanda di eventuali supplenze, tutto sommato, pensai di rimanere ancora.

In agosto volli fare una visitina a Castrignano per trascorrere la festa del Patrono Sant' Antonio in famiglia. Onorava la festività una compagnia teatrale con orchestra e personaggi, su un palco allestito in piazza, all'aperto. Ne feci alcune registrazioni che portai in Svizzera al mio ritorno a Zurigo; ma approfittai anche per suscitare l'entusiasmo del mio fedele Vito con racconti delle belle serate che avevo vissuto in quella città. Decise di seguirmi e non si trovò pentito. Gli trovai subito un Lavoro giornaliero e di sera veniva a farmi compagnia nei locali dove io mi esibivo. Lo invitai a cantare, accompagnato da me al pianoforte, e feci così conoscere le sue qualità canore. Suscitava apprezzamento ed entusiasmo dappertutto. Mi rimase impressa una sua esibizione nella romanza "Di provenza il mare e il sol" dalla Traviata di G. Verdi. Non era il bar della signora Pasquina. Era un altro pubblico locale. La proprietaria seguiva attonita l'esecuzione, quando, verso la fine, fu presa da tale commozione che svenne. Dovemmo sospendere l'esecuzione. Ci disse, dopo essersi ripresa, che quella romanza le ricordava molte cose e che le sembrava in quel momento di riviverle. Insieme suscitammo apprezzamenti e valutazioni positive dappertutto.

I numeri del repertorio non ci mancavano e, quasi sempre, riuscivamo a suscitare entusiasmo, specialmente quando vi era prevalenza di avventori italiani a cui si associavano svizzeri, spagnoli ed altri stranieri attratti dalla bella musica e dal bel canto. Tre erano le attrattive prevalenti: canzoni italiane e napoletane, folclore e brani celebri, musica lirico - sinfonica e, in particolare, "Va, pensiero" dal Nabucco di G. Verdi. Cantavano tutti. Sembrava che non avessero nessuna preoccupazione e nessun problema. Erano tutti giulivi, festosi, pieni di gioia e di entusiasmo. Ma bastava dialogare con qualcuno di essi, e si poteva toccare sotto la Pelle la profonda nostalgia del proprio paese, dei parenti lontani, degli amici e per parecchi, anche della famiglia, poichè vivevano da soli in quella Confederazione per ragioni di Lavoro. Ma erano felici lo stesso, perché noi, la nostra musica, il nostro canto, rappresentavano per loro in quel momento, la famiglia, gli amici, il paese, la Patria. Il Cavallo di battaglia di Vito era la Cavatina di Figaro dal Barbiere di Siviglia di G. Rossini. La maggior parte dei nostri tifosi ci seguiva dappertutto. Avevano trovato il farmaco per dare sollievo alla loro solitudine.

Così si svolgeva la mia attività serale. Ma di giorno? Di giorno ben presto il problema fu risolto. Chi per un motivo o per un altro non si recava al Lavoro, veniva da me. Spesso facevo per me e per l'accompagnatore il biglietto "tagscart", con cui potevo circolare tutta la giornata sui mezzi di trasporto pubblici. Mi recai più volte allo Zoo; andai in paesi vicini per incontrare miei paesani ed amici; più volte in Automobile facemmo il periplo del Lago di Zurigo. In seguito acquistai una macchina da Scrivere, poichè ero un buon dattilografo, circa 360 e più battiti al minuto, e mi servivo per Scrivere lettere per me alla famiglia e ad amici in Italia, e per gli amici di Zurigo che volevano Scrivere alle loro famiglie. Infatti parecchi di loro erano semianalfabeti, ma ricchi di principi morali e di buona Educazione.

Allora ero ancora un giovanotto, e ben presto feci amicizia anche con ragazze svizzere. Ricordo in particolare una signorina diciottenne, che si era affezionata a me. Era nipote della proprietaria di un locale pubblico e faceva la cassiera. Veniva a trovarmi quasi ogni giorno, durante le sue ore libere, dalle 13 alle 15. Mi diceva che le piaceva molto l'Italia, e che le piacerebbe, se le fosse possibile, potervisi trasferire. Mi faceva capire che voleva essere la mia ragazza, ma io le confidai che ero già fidanzato. Ciononostante, mi rimase amica per tutto il periodo in cui rimasi in Svizzera. Altre ragazze della Puglia, della Campania, della Sicilia avevano fatto amicizia con me. Sembrava come se io rappresentassi per loro un pezzo della loro terra.

Feci conoscenza anche con le autorità consolari. Mi informai delle attività svolte dai ciechi svizzeri e, devo essere sincero, avevamo fatto più progresso noi italiani. Conobbi anche un prestigiatore dilettante che mi insegnò parecchi giochi. Più di una volta mi invitò a casa sua a pranzo o a cena. Anche la moglie era molto gentile, ospitale e cortese. Avevano due bambini tanto graziosi e simpatici. Spesso passavamo con loro le ore libere e ci divertivamo piacevolmente. Mi insegnò il gioco della scomparsa dell' orologio, il gioco della corda, ed altri piacevoli divertimenti.

Ma un giorno io, Vito, amici e qualche parente, decidemmo di fare una visita a S. Gallo, dove c'erano tanti altri nostri paesani e compaesani.


I capitoli tratti dall'autobiografia "Un Cieco Che Vede" del prof. Antonio Greco, vengono pubblicati con l'autorizzazione dell'autore. Per contattare il prof. Antonio Greco e per informazioni sull'opera completa si può Scrivere a griconio@gmail.com