La Fiera dell'Olma - Da “Un Cieco che Vede” del prof. Antonio Greco
Antonio Greco Aggiornato il 23/06/2021 08:00Era il mese di ottobre, e quell'anno la temperatura si manteneva ancora mite. Fu stabilito che il giorno prescelto doveva essere una domenica. E così fu. La gita fu fissata per la domenica 11 ottobre 1959, giacché cadeva proprio con i primi giorni della fiera dell'Olma che apre i battenti il secondo giovedì del mese di ottobre e si protrae per ben quindici giorni, in modo che la ricorrenza di S. Gallo, 16 ottobre, venga a trovarsi al centro del periodo fieristico. Pensammo bene di allungarla, partendo il sabato pomeriggio per trattenerci fino alla sera della domenica successiva.
Alla stazione di S. Gallo fummo prelevati da una schiera di amici e anche parenti. Molti ci offrirono vitto e alloggio, e devo dire sinceramente che fu difficile la scelta, perché erano offerte sincere, fatte dal profondo del cuore, e dovetti giustificare la mia scelta, affermando che non potevo accettarle tutte, poichè non mi potevo sdoppiare, ma che era come se le avessi accettate tutte, e quindi offrivo i miei ringraziamenti a tutti.
Intanto ci preparammo per la serata del sabato. Ci condussero al ristorante Leonardo, dove c'era un pianoforte e lì ci scapricciammo. Musica di tutti i colori. I miei paesani e amici dei paesi limitrofi che già mi conoscevano, fecero insieme con noi, tutti festa, cantando e bevendo birre. Il cameriere doveva servire le birre a casse e non alla spicciolata. Il gestore fu tanto contento che ci rivolse l'invito a trattenerci per la durata di tutta la fiera dell'Olma. Disse che nemmeno in un mese aveva venduto tanta birra e verificato tanta consumazione.
All'indomani, domenica, visitammo la fiera, prevalentemente agricola, e il pomeriggio ci trovammo nuovamente con tutta la compagnia del giorno precedente, e questa volta gli amici scelsero un altro ristorante, dove c'era già il servizio musicale. Ma i nostri amici chiesero ugualmente se io e Vito potevamo esibirci in qualche brano. La domanda fu accolta, e lì cominciammo a sciorinare i nostri cavalli di battaglia: "O sole mio", "Funiculì, Funiculà", "Va' pensiero", ed altri brani. L'entusiasmo del pubblico salì alle stelle, tanto che gli addetti alla musica ci invitarono a continuare, quando noi accennammo di smettere. Anche qui i gestori ci chiesero se potevamo trattenerci, che ci avrebbero bene onorati. Ma noi avevamo altri impegni assunti in precedenza, e dovemmo declinare ogni richiesta. Feci cantare a tutti "Va pensiero", sia italiani che svizzeri, e chiudemmo in anticipo la serata, perché noi dovevamo tornare a Zurigo dove ci attendevano altri compiti. Alla stazione fummo accompagnati da tanti simpatizzanti che sembravamo importanti autorità.
Intanto, mentre si chiacchierava del più e del meno, arrivò il treno che doveva condurci a Zurigo. Ci salutammo affettuosamente, tra gli inviti a ritornare successivamente a San Gallo. Dopo le strette di mano e gli abbracci con le persone più intime, prendemmo posto in uno scompartimento, in attesa di arrivare presto a Zurigo, dove ci attendeva il Lavoro serale al Cecil Bar, locale molto distinto, frequentato in buona parte da persone altolocate e, quindi sul piano della musica, più qualificate ed esigenti. Arrivammo appena in orario e cominciammo subito le nostre esibizioni.
Ma il mio pensiero cominciava a volare in Italia, come i pastori del D'Annunzio che "lascian gli stazzi e vanno verso il mare". Una sera dopo l'altra, arrivammo a novembre e finalmente mi decisi a tornare a Castrignano per chiudere la parentesi svizzera e pensare alla mia carriera professionale. Così approfittai del fatto che un emigrante di Cursi, Antonio Sticchi, veniva in Italia, e gli chiesi se potevo approfittare della sua compagnia. Mi rispose che era molto felice di farlo e allora cominciai tutti i preparativi per la partenza.
Si stabilì di partire il sabato 7 novembre, ma il mio fedele amico, Vito, rimase a Zurigo a continuare il suo Lavoro in una fabbrica di prodotti di bellezza. Quindi dovevo tornare solo, così come ero arrivato. Ci recammo alla stazione e affrontammo il lungo viaggio. All'indomani, verso le dieci, fummo a Lecce. Prendemmo un taxi che ci condusse a domicilio. Qui trovai gli amici che mi attendevano, e si riprese la vita di sempre.
I capitoli tratti dall'autobiografia "Un Cieco Che Vede" del prof. Antonio Greco, vengono pubblicati con l'autorizzazione dell'autore. Per contattare il prof. Antonio Greco e per informazioni sull'opera completa si può Scrivere a griconio@gmail.com