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La Scuola si conclude e la Prima licenza - Da “Un Cieco che Vede” del prof. Antonio Greco

Pubblicato il 07/04/2021 08:00 
 

I ragazzi dell'Istituto sapevano svolgere anche altre attività molto più qualificanti e nobili.

I professori di Musica in simbiosi con tutto il corpo insegnanti sapevano fare di noi dei piccoli artisti: preparavano recite, concerti, spettacoli teatrali, sopratutto in occasione di festività e di chiusura anno scolastico. In molte di queste manifestazioni era invitato il pubblico esterno che mostrava di apprezzare molto la riuscita di tali manifestazioni. Inoltre il guardaroba dell'Istituto era ricco di vestiario per spettacoli vari. Quando si preparavano fiabe con "folletti", "nani", ed altri personaggi in esse contenuti, si disponeva di vestiti trapunti di campanellini che, ad ogni movimento, scampanellavano festosamente.

Non dimentico mai un episodio che durante le prove di una rappresentazione natalizia fece ridere tutti i presenti: io rappresentavo il personaggio di un bell'angelo con larghe ali sulle spalle. Quando toccò a me entrare in scena, feci il mio ingresso con bei passi lenti e pesanti. Ci fu un significativo silenzio. La mia Insegnante perplessa, interruppe:

- Greco! Ma così sembri più un Cavallo che un angelo. L'angelo deve essere leggero e disinvolto; perciò, ripeti l'entrata in scena come si deve ad un angelo che non ha peso, che vola e che si rispetti. -

Io, umiliato e scornato, ma contento di poter fare bella figura nella rappresentazione finale, questa volta entrai in punta di piedi, muovendo le mie lunghe ali, una delle quali andò a sbattere sulla faccia di Spezzaferri che, guarda caso, faceva la parte di Lucifero. Di nuovo una risata più lunga e scrosciante che concluse l'episodio.

Di quella rappresentazione ricordo ancora una canzone cantata dai "Fiocchetti" di neve:

"Siamo i fiocchetti candidi,

le stellucce di neve,

che sulla terra gelida

posiam con gesto lieve.

Siamo fiocchi di neve,

neve candida siamo,

e prima di posare,

leggermente danziamo."

Le attività musicali non erano da meno: ci insegnavano brani a due mani, pezzi a quattro mani, e non si trascurava la Musica amena e classica.

Altra attività molto intensa era il giuoco. Ne inventavamo di tutte le specie: giocavamo al calcio con le "latte", ne ho già parlato. Giocavamo a "palla Artificiale". Il gioco consisteva nel prendere un ragazzo che doveva fungere da palla e spingerlo contro la squadra avversaria; spesso questo ruolo era magistralmente coperto da Pippo Carluccio, poichè, essendo basso e tondeggiante, era un ruolo che gli si addiceva. Si sceglieva un luogo non troppo ampio con due porzioni delimitate da muri che dovevano fungere da porte. Le squadre erano formate da un portiere, due terzini e un attaccante. A volte succedeva che la "palla" scompariva e, tocca di qua, e tocca di là, non la si trovava. Allora doveva intervenire la "palla" stessa per dire: "Sono qua, sono qua, sono qua." Altro gioco era quello svolto da soli due ragazzi; però non tutti erano capaci di affrontarlo. Si svolgeva questo gioco nel dormitorio, quando riuscivamo a sfuggire alla sorveglianza delle assistenti. Ci scheravamo l'uno di fronte all'altro, separati da tre o quattro letti. Prendevamo un cuscino e lo lanciavamo l'uno all'altro. Chi sbagliava a bloccarlo, scendeva sotto di un punto. Ed era un gioco che ci esercitava molto, soprattutto nel fisico oltre che nello spirito.

L'Istituto disponeva di una ricca Biblioteca in Braille, sia di opere musicali che letterarie. Oltre ai libri che ci venivano letti in classe, ne prendevamo in Lettura altri, secondo i gusti di ciascuno. Ricordo che, dopo aver letto, tra l'altro, anche la "Gerusalemme Liberata" di T. Tasso, riassunta in prosa, volevamo impersonare i protagonisti: Tancredi, Argante, Rinaldo ed altri celebri guerrieri. A tal uopo, io e Spezzaferri costruimmo delle spade di legno nel Laboratorio gestito egregiamente dal maestro Andrisani. Poi strappammo da libri vecchi le copertine di cartone doppio e costruimmo le corazze. Poi ci sfidammo a duello. Spezzaferri impersonava Argante, essendo più grosso e leggermente più alto; io, invece, indossavo le vesti di Tancredi d'Altavilla. Con la sinistra reggevamo lo scudo e con la destra la spada. Cominciarono i fendenti a dritta e a manca, ma nessuno di noi due dava segno di resa. Dopo esserci stancati ben bene, dissi al mio avversario che forse era il caso di sospendere la tenzone per poi riprenderla in altro momento. Il mio avversario, forse più stanco di me, accettò l'invito. Non mancarono le contusioni. Mentre ci spogliavamo delle armature, ahi, ahi, di qua; ahi, ahi di là. Convenimmo che era un gioco pericoloso e che non era il caso di ripeterlo. Così, troppo presto, appendemmo le armi al "chiodo", e pensammo ad altre forme ludiche. Il campo da gioco, questa volta, doveva essere un corridoio. Il gioco si svolgeva ancora tra due soli protagonisti, posti nelle due estremità del corridoio. Oggetto di contesa era ancora la "latta", che si faceva scivolare, spingendola con il piede contro l'avversario; però questa volta non si giocava al calcio, ma solo all'abilità di stoppare sotto la scarpa il "pallone". Chi si faceva superare dalla "palla", senza riuscire a stopparla, rimaneva sotto di un punto. Questo era un gioco che ci teneva impegnati abbastanza, ed era molto valido per esercitare la capacità di localizzazione degli oggetti.

La conclusione dell'anno scolastico

L'anno scolastico si concluse felicemente per quel che riguardava la Scuola, ma anche perché ognuno sperava, in famiglia, di trovare migliori condizioni di vita. In Istituto ormai scarseggiava di tutto. Non si poteva nemmeno più giocare al calcio, perché le scarpe al contatto con la dura "latta" si rompevano, e sul mercato i prezzi erano arrivati alle stelle. Io ricordo che mio fratello Rocco, coi guadagni del suo Lavoro, aveva messo da parte 3.000 lire ed era in procinto di acquistare una semplice abitazione di tre vani e piccolo Giardino. Per lievi discordanze di prezzo non concretizzò l'affare, sperando di concluderlo in un prossimo futuro. Con la Guerra scarseggiava tutto, e in particolare gli alimenti per la sopravvivenza. Dopo due anni dall'inizio della Guerra con quelle tremila lire comprammo, al mercato nero, un quintale di Farina dall'Andrea Ture, quello stesso Andrea Ture che era stato in Africa con mio padre.

Fui promosso con ottimi voti e ritornai in famiglia, dove ripresi la mia vita quotidiana: tirare acqua dalla cisterna, infilzare le foglie di tabacco, ad una ad una, allo spadino, appendere le filze ai telaietti ed esporli al sole; a fine raccolta del tabacco sradicare con le mani le "tabaccare" (piante di tabacco), ed altre attività attinenti.

Il tabacco veniva piantato in filari lunghi per quanto consentiva la lunghezza dell'appezzamento, e distanti tra loro cinquanta centimetri circa. Finita la raccolta, bisognava tirare le piante per preparare il terreno per il prossimo anno. Quelle piante poi, legate a fascine, (le famose sarcine) servivano come combustibile per cucinare e per riscaldarsi. In quella gara con mia sorella Uccia vincevo sempre io. Infatti lei prendeva un solo filare con due mani. Io, invece, attaccavo due filari, l'uno con la destra e l'altro con la sinistra e, ciononostante, riuscivo a distanziarla enormemente. Ma non riuscii mai a superarla nell'infilare le foglie allo spadino.

Anche Narduccio, che ormai era di sei anni, aveva cominciato a lavorare e a cantare con noi. Infatti, durante la sistemazione delle foglie del tabacco, per non annoiarsi, si raccontavano novelle e si cantavano canti popolari che, senza nessun insegnamento cattedratico, venivano eseguiti ad una, a due, e anche a tre voci differenti. Venivan fuori belle armonie che distendevano l'animo e facevano gioire il cuore. Passò anche quella stagione, ed iniziò il nuovo anno scolastico che per me doveva essere l'ultimo delle scuole elementari.

La prima licenza

L'Istituto, nonostante le difficoltà economiche, manteneva la sua vitalità: si studiava, si seguivano con apprensione le alternative vicende belliche. La fame si faceva sentire sempre di più, ma io, Gabbellone e Spezzaferri continuavamo ad attingere a quella miniera inesauribile che era lo stanzino della dispensa. Il nostro Metodo si rivelò infallibile: prendevamo ciò che potevamo nascondere in corpo; anzi, in seguito, diventammo più raffinati. Quando arrivò la primavera, sempre di notte, prendevamo le pagnottine dalla dispensa e andavamo in Giardino a consumare il nostro pasto con le fave verdi. Ci dispiaceva moltissimo dei nostri compagni che non ricevevano nessun sollievo nemmeno dalle famiglie, ma, purtroppo, non potevamo rischiare, partecipandoli del nostro Quotidiano bottino notturno. Di tanto in tanto offrivamo loro qualcosa che ci veniva dalla famiglia per non creare sospetti.

A questo punto viene spontaneo chiedersi: Come mai questi tre giovanotti godevano di tanta libertà? Di notte non erano sorvegliati nei dormitori? Il personale di Assistenza non c'era?

Vi era il personale addetto all'Assistenza, ma forse si pensava che i ragazzi uscissero per andare al bagno e non si preoccupavano più di tanto.

Intanto la Scuola procedeva molto bene. La nostra Insegnante, tra l'altro, ci insegnava a conoscere le carte geografiche in Rilievo, i plastici, e ci spiegava, con nostra meraviglia, il funzionamento del sistema solare. Noi eravamo increduli. Sostenevamo che il sole gira e che la terra, sotto i nostri piedi, è ferma. Ma lei ci spiegò che grandi scienziati, come Galilei, avevano scoperto il segreto: "Il sole è fermo, e la terra con la luna gli girano attorno". Si fece portare il mappamondo col sistema solare e, ad uno ad uno, ci mostrò i movimenti del pianeta e del suo satellite. Noi, fino a quel giorno, non avevamo mai sentito parlare di tale fenomeno, e fummo tutti entusiasti del nuovo apprendimento; tant'è vero che ne facemmo un gioco: uno di noi fungeva da sole, un altro più piccolo da terra e un piccolino da luna. Stavamo attenti a spiegare al piccolino che doveva stare sempre rivolto col Naso verso il compagno che fungeva da Terra, durante il suo giro intorno a lui. Più di una volta inciampavano nel girare l'uno intorno alla Terra, ed entrambi intorno al sole. Avevamo poche distrazioni ed era viva la tendenza in noi a trasformare tutto in giuoco. In quell'anno venni a conoscenza della fisarmonica, il cui Suono mi attrasse moltissimo. Gliela aveva portata in Istituto la zia Linda di Antonio Lazzari, orfano di entrambi i genitori. Questa zia lo amava meglio che figlio e, siccome era benestante, gli poteva procurare qualche distrazione più elevata. Mi fece provare il nuovo strumento che mi entusiasmò. Antonio Lazzari è stato sempre molto altruista e disponibilissimo. Vivace, disinvolto e sicuro; sembra di aspetto autoritario, ma in realtà molto socievole e simpatico. La zia, durante le vacanze estive, gli metteva a disposizione il professore di Musica, a sue spese, per farlo andare avanti e per mantenerlo in esercizio. Non era geloso del suo strumento; poteva suonarlo chi voleva.

Di fiore in fiore, tra qualche spina, superammo le vacanze natalizie, le festività pasquali, e si arrivò al mese di giugno, mese della resa dei conti. Fummo tutti promossi; però i giudizi oscillavano dal "sufficiente" al "lodevole". Io fui promosso con "lodevole". Ma per me non doveva essere difficile conseguire tali giudizi, se si tiene conto che ho conseguito la Licenza Elementare a sedici anni compiti. Le mie capacità logico-matematiche ed intellettive, a quell'età, erano più sviluppate di chi consegue il titolo a soli undici anni, quando le capacità di "Sintesi" non sono ancora del tutto sviluppate.

Con questa mia prima Licenza me ne tornai in famiglia a riprendere il mio abito di contadino.


I capitoli tratti dall'autobiografia "Un Cieco Che Vede" del prof. Antonio Greco, vengono pubblicati con l'autorizzazione dell'autore. Per contattare il prof. Antonio Greco e per informazioni sull'opera completa si può Scrivere a griconio@gmail.com