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La Guerra in Casa - Da “Un Cieco che Vede” del prof. Antonio Greco

Pubblicato il 28/04/2021 08:00 
 

Ormai siamo nell'estate del 1943. La Guerra si fa sempre più vicina a noi. Già si progetta lo sbarco in Sicilia da parte degli alleati.

Una mattina, verso le 10,30, improvvisamente odo un rombo di aereo a bassa quota che passa velocemente. Dopo qualche minuto si sente un rombo monotono ed uniforme di molti aeroplani. Passa poco tempo e si comincia a sentire un crepitio di spari a intermittenza. Uccia, che era nel Giardino, mi dice: "Antonio, si sentono come spari e aeroplani; che cos'è?" Io esco fuori e presto maggiore attenzione. "Sono spari di mitragliatrice" rispondo. E intanto altri aeroplani passano veloci a bassa quota. Sono i caccia italiani che si erano levati in volo dall'aeroporto di Galatina. "Questa è una battaglia aerea" ho detto ai miei. Avevo intuito bene. Più di mille aerei delle forze alleate si preparavano a bombardare il nostro Salento. Dopo un quarto d'ora circa avvertiamo le prime bombe a distanza. Sapemmo poi che avevano bombardato l'aeroporto di Galatina e un piccolo aeroporto di Porto Cesario. Siccome si diceva che è pericoloso stare in casa per la caduta di bombe, usciamo tutti all'aperto. Nella campagna dietro casa mia c'era un grande mandorlo. Noi ci rifugiamo tutti sotto quel grande albero. Intanto la battaglia aerea continuava, e tutto il vicinato si unisce a noi. Improvvisamente sento cadere con un sibilo due piccoli corpi metallici. Me li raccattano e me li consegnano: hanno tre fori ciascuno, e da quello che avevo sentito dire e letto, intuisco che si tratta di bossoli di mitraglia. Io in quella circostanza ero ritenuto il più saggio, poichè Uomini informati non ce n'erano, chè si trovavano quasi tutti, chi ai fronti, chi alle riserve e alle difese interne. Passa più di un'ora e il rombo degli apparecchi si fa sempre più lontano fino a scomparire. Ma, scrutando il cielo per verificare se si scorgessero ancora aeroplani, nuova sorpresa, vedono in alto, a distanza di tre o quattro chilometri, un ombrello con una figura umana sotto. Era un paracadute che stava salvando un Pilota il cui aeroplano era stato abbattuto dai nostri caccia. Tutti, curiosi, corrono verso Carpignano; ma arrivano prima di tutti anche i Carabinieri che hanno il compito di proteggere il Pilota nemico. Ad altra maggiore distanza si scorgono due altri paracadute che scendono lentamente. Altri curiosi e interessati vanno in cerca degli aerei caduti per reperire i rottami e venderli ai "ferri vecchi". Allora in Castrignano, e anche parecchi anni dopo, era fiorente la raccolta e il commercio di rottami metallici. Tutti noi abbandoniamo il nostro rifugio e cerchiamo di reperire notizie dai curiosi che tornavano, sia dei piloti atterrati che dei loro apparecchi. Ma solo la sera apprendiamo dalla radio che i nostri caccia avevano abbattuto tra Lecce, Brindisi e Taranto, dodici aeroplani nemici. Ora che scrivo ricordo che fu quel 2 luglio del 1943 una giornata di paura, di curiosità, e di sollievo, perché noi avevamo visto il pericolo vicino, ma, come da una platea. Infatti non ci era successo niente; pensavamo, però, a quella povera gente che era morta sotto le bombe e a tutti i piloti che senza una ragione plausibile rischiavano la vita istante dopo istante.

Passano appena una ventina di giorni e il 23 dello stesso mese, questa volta di sera, verso le undici, nuovamente un'ampia marea di aeroplani nemici solcano il nostro Salento. Si capiva subito che erano nemici, poichè la nostra aviazione se li sognava tanti velivoli. Usciamo tutti dalle case e ci dirigiamo verso un fondo vicino con alberi di fico. Si parla del più e del meno, e a distanza considerevole si ode il primo grave e lugubre esplodere delle bombe sganciate da quegli aeroplani. Io cerco di distrarre i miei vicini dalla preoccupazione e dalla paura. Mi arrampico in cima ad uno di quegli alberi che ci dovevano fare da scudo e dico ai sottostanti: "Guardate quanti aeroplani ci sono in cielo. Li sto misurando." Facevo una pausa e poi aggiungevo: "Sono arrivato a 549". E la mia compagnia ride, perché sa che scherzo. Quella notte me lo potevo permettere, perché aerei vicini a noi non se ne scorgevano. Si vedevano a distanza i bagliori e l'illuminazione a giorno dei bengala.

Dopo mezzanotte, finalmente possiamo ritornare, anche questa volta rinfrancati, alle nostre case. Quella notte le incursioni erano avvenute più lontano da noi, verso la zona di Taranto. Quella fu l'ultima paura, chè poi l'8 settembre si firmò l'armistizio, e il nostro Salento non viene più molestato.

La messa solenne

Passarono presto i due mesi che conducevano alle vacanze pasquali. Ma a me fu affidato un nuovo compito: mia madre mi aveva espresso il desiderio, durante quella breve vacanza con mio fratello, di offrire una messa solenne alla Santa Patrona di Castrignano: la Madonna Maria dell'Arcona. Siccome il nostro organista Pasquale Greco era deceduto e non c'era nessuno che lo potesse sostituire, mia madre mi chiese se potevo io imparare a suonare la messa. Le promisi che ci avrei provato. Infatti in Istituto continuavo con buon esito a Studiare il pianoforte prima con la sig.na Napoli e poi col valentissimo prof. Vincenzo Fiorentino di Cannole, quasi mio compaesano, il quale mi fece avere lo spartito in Braille della messa "De Angelis". Mi impegnai con tutte le mie forze, e il giovedì dopo Pasqua, festa della Patrona, l'opera era pronta. Durante quei giorni di vacanza avevo provato sull'organo della chiesa ad accompagnare il piccolo Coro Formato da chierichetti, qualche ragazzo e qualche giovanotto. Quando si seppe che l'organista per quel giorno di festa sarei stato io, la curiosità pervase il paese; parecchi venivano ad assistere alle prove. Il giorno della festa della Madonna in chiesa non c'era più posto; era gremita di gente. Parecchi seguivano la messa dall'ingresso o da fuori. Cominciammo la messa in latino, e il coro seguiva con entusiasmo. Chi era più preoccupato ero io che, per la prima volta, non ancora quattordicenne, affrontavo un pubblico così numeroso e un'occasione così solenne. Era festa grande con due concerti bandistici, nonostante la Guerra. Temevo di sbagliare, ma per fortuna tutto andò per il meglio. Durante l'elevazione suonai una dolce Musica coi registri dei violini alla Tastiera superiore. I fedeli, forse, prestavano più attenzione a me che allo svolgersi della Santa Messa.

Per accedere all'organo, bisognava salire su una scala a chiocciola di metallo che sfocia sulla cantoria dell'organo. Un bell'organo con due tastiere e pedaliera, con ventiquattro registri, tamtam e rullante, allora ancora molto funzionale. Era un piacere svolazzare da un registro all'altro, da una Tastiera all'altra. Eseguimmo tutta la messa completa: Kyrie, Gloria, Credo, Santus, Benedictus, Pater Noster, Agnus Dei e canti durante la Comunione.

Arrivati al termine, mi accinsi a scendere, ma i miei amici del coro mi avvertivano che i fedeli non si muovevano: mi attendevano giù. Quando feci gli ultimi scalini chi più cominciò a stringermi la mano: "Prosit, prosit, prosit", e una fila interminabile di persone affettuose e commosse, passando, mi salutavano e i più mi dicevano: "Auguri, futuro professore". Io rimasi stupito, sorpreso e commosso. Sinceramente non mi aspettavo tanta stima, tanta gratitudine, tanta simpatia da tutto il paese. Da quel giorno mi feci tanti altri amici ed amiche che venivano a trovarmi a casa e a condurmi a spasso. Gli amici più assidui furono i fratelli Salvatore e Vito Marini, ma in particolare quest'ultimo. I sacerdoti Don Angelo e Don Beniamino Plenteda mi vollero a casa loro per ascoltarmi sul loro pianoforte.

Quella messa mi servì come prima pubblicità. Il direttore dell'Istituto, saputa la circostanza, mi concesse tutta la settimana postpasquale di vacanza.

La domenica sera mi congedai anche dai nuovi amici, promettendo che ci saremmo ritrovati tra due mesi, e il lunedì mattina mia madre mi ricondusse in Istituto per la conclusione dell'anno scolastico.


I capitoli tratti dall'autobiografia "Un Cieco Che Vede" del prof. Antonio Greco, vengono pubblicati con l'autorizzazione dell'autore. Per contattare il prof. Antonio Greco e per informazioni sull'opera completa si può Scrivere a griconio@gmail.com