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Non Vedenti, Braille e Tecnologie di Stampa

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Il Prosieguo dell'Anno Scolastico - Da “Un Cieco che Vede” del prof. Antonio Greco

Pubblicato il 14/07/2021 08:00 
 

Trascorsi i quindici giorni di congedo straordinario, metà dei quali durante le vacanze natalizie, ripresi tranquillamente il mio insegnamento. Tutto procedeva bene. Correggevo i compiti scritti fatti in classe di Italiano e latino, facendomi aiutare, per la lettura, da amici studenti o da qualche Insegnante elementare. Quando mi incontravo coi genitori degli alunni, mi dicevano che i loro figliuoli erano molto contenti del loro professore. Anche i colleghi erano molto comprensivi e disponibili . Ma non altrettanto bene andarono i rapporti col preside. Era soddisfatto di tutto, però non voleva tollerare che io non portassi il registro personale in classe. Dovevo portarlo con me nell'aula, ad ogni costo. Io ritenevo la cosa inutile, poichè il registro personale me lo costruivo da me in Braille, facendo riportare da qualche collega alla fine delle lezioni ciò che avevo fatto in classe, sul registro personale ufficiale della Scuola. Il preside, un certo signore di Sogliano Cavour, non transigeva, non tollerava il mio rifiuto. Più di una volta mi mandava il benedetto registro in classe col vicepreside. E una, e due, e tre, e quattro, non ne potetti più.

Una mattina, doveva essere il mese di marzo, viene il vicepreside e mi consegna il registro personale, dicendomi:

- Ha detto il preside che lo devi tenere in classe. -

- Di' al preside cha è nu fessa - rispondo io. E lui:

- Se mi dici di dirglielo, glielo dico. -

- Mi fai un gran favore - aggiungo io.

Dopo qualche minuto, viene il bidello e mi comunica che sono desiderato dal preside. Mi reco in presidenza; mi fa accomodare e comincia la predica dicendomi che è un dovere avere con sè il registro personale sulla cattedra, in vista degli alunni. Aggiunge che il registro personale è un'arma, uno strumento che fa tremare gli alunni, che li tiene disciplinati e timorosi. Io gli faccio rilevare che per me, non vedente, è irrilevante, poichè non posso usarlo in presenza degli alunni, e quindi potrebbe diventare ridicolo. Con tutto il mio garbo cerco di fargli capire che in qualsiasi momento del giorno potevo render conto di ciò che facevo in classe, sia delle valutazioni degli alunni, sia degli argomenti delle lezioni. Ma egli non intende ragione. Allora perdo le staffe e cambio tono del mio comportamento. Gli faccio notare che queste son cose che capirebbero anche i bambini; che certamente i miei alunni che hanno solo undici anni, hanno capito meglio di lui queste cose. Gli faccio rilevare che non è il registro che deve far tremare gli alunni, e nemmeno il professore. Gli alunni non devono tremare in classe, ma devono venire volentieri, perché affezionati allo scibile e ai loro insegnanti. Il registro non rappresenta lo strumento più efficace per un miglior Metodo educativo; ma sarà la capacità del professore che penetrerà nel modo di pensare di ciascun alunno e cercherà con garbo e tatto, di frenare i lati negativi e incoraggiare gli aspetti positivi della personalità dell'alunno. Bisogna scendere dalla cattedra e camminare insieme col discente.

A questo punto, vistosi in difficoltà, cambia tono. Mi fa osservare che anch'egli deve difendere il suo pane. Cambio tono anch'io e aggiungo che, se vuole, sottopongo io stesso al Provveditore agli Studi, al Ministro della P.I., il caso; e sono certo che daranno ragione alla mia tesi. Gli chiedo un giorno di permesso per recarmi dal Provveditore e dirimere la questione. Egli diventa più buono, più trattabile, e mi congeda dicendomi di lasciar perdere e di fare come meglio credo, purchè alla fine delle lezioni sia riportato sul mio registro personale il resoconto della giornata. Gli prometto di osservare scrupolosamente quanto chiestomi e ci congediamo apparentemente da buoni amici.

Da quel giorno si dimostrò più amico, più disponibile, più sensibile alle mie esigenze, tanto che all'inizio del nuovo anno scolastico, avendo riavuto l'incarico per la stessa Scuola, e comunicandogli io l'intenzione di volermi trasferire ad altra sede, manifestò dissenso e rincrescimento (e sembrava sincero).

Alla fine dell'anno scolastico non ricordo se ne ho rimandato qualcuno, ma mi sembra di no. Mi dispiacque il distacco da quei bravi ragazzini, tutti premura per il loro professore; facevano a gara per starmi vicino. Erano sinceri, buoni, schietti, trasparenti. Anche i più vivaci, quelli che si lasciavano andare a qualche birichinata, anche quelli mostravano il loro cuore e il loro affetto. Non si dimenticano del loro professore. Anche oggi, dopo tanti anni, se mi incontrano, non possono fare a meno di venire a salutarmi e a ricordare quei bei tempi. Ci congedammo con la promessa che li avrei ricordati sempre.


I capitoli tratti dall'autobiografia "Un Cieco Che Vede" del prof. Antonio Greco, vengono pubblicati con l'autorizzazione dell'autore. Per contattare il prof. Antonio Greco e per informazioni sull'opera completa si può Scrivere a griconio@gmail.com