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Il Matrimonio di Clelia - Da “Un Cieco che Vede” del prof. Antonio Greco

Pubblicato il 22/09/2021 08:00 
 

Clelia si era fidanzata, già prima della disgrazia, con un giovane di Martano: Corrado Zacheo. Noi genitori non lo conoscevamo e ci premurammo di assumere informazioni in merito. Ci fu detto che era un bravo giovane, serio, attaccato al suo Lavoro, appartenente a brava famiglia di onesti lavoratori. Non ci intromettemmo; cercammo solamente di controllare e seguire la figlia, perché era ancora troppo giovane, e i tempi sociali non promettevano nulla di buono: i pericoli della droga erano in ogni angolo e noi, forse, eravamo troppo iperprotettivi. Infatti oggi Clelia, spesso, ci rimprovera la sproporzionata preoccupazione per la sua persona, ma noi non demordiamo: se tornassimo, lo rifaremmo ancora.

Avemmo l'occasione (maledetta occasione; ne avremmo preferite delle altre), avemmo l'occasione, dicevo, di conoscere il ragazzo e i suoi familiari durante il supplizio dei nove giorni di rianimazione di Paolo. Furono molto disponibili e premurosi; ci erano vicini e cercavano di creare qualche sollievo per distrarci dallo strazio che ci attanagliava.

I ragazzi continuarono a frequentarsi e a volersi bene; tant'è vero che, mentre egli faceva il militare a Civitavecchia, Clelia lo raggiunse in compagnia dei suoi familiari più di una volta.

Finito il servizio militare, decisero di sposarsi. Noi non opponemmo ostacoli, e fissarono il loro matrimonio per il 5 gennaio del 1989.

Io, visto che mi era rimasta solo Clelia; considerato che Teresa, dopo il colpo subito, aveva perduto molto del suo smalto, non volevo strapazzarla ancora con l'accompagnarmi a scuola la mattina, per poi riprendermi a fine lezioni; perciò decisi di presentare alla scuola le mie dimissioni volontarie per andare in pensione. Lei cercava di non dimostrarlo, ma soffriva tremendamente. Anch'io soffrivo e soffriamo, ma cercavo di tirarla su, ripetendole che dovevamo ancora vivere per Clelia; che lei non era colpevole della nostra sciagura, e che aveva il Diritto di farsi una vita sua e di godersela, e che noi dovevamo ancora prodigarci con la stessa lena per favorirla.

La mia domanda di pensione fu accolta e l'1 settembre del 1988 passai a nuova èra. Ma non era una "messa a riposo", perché attività e impegni non mancarono e non mancano. Intanto cominciammo a pensare ai preparativi del matrimonio, e il tempo passava in fretta.

Il 5 gennaio dell'89 spuntò una bella giornata di sole, forse per farci un po' dimenticare e sorridere. In casa presto arrivò il fotografo; arrivò anche nostro cugino Giustino con la telecamera, la sarta, i parenti, gli amici e i curiosi.

Clelia si era fatto confezionare un bell'abito da sposa, molto ampio e distinto. Quando da casa mi accinsi ad accompagnarla all'uscita del paese, perché la cerimonia religiosa si doveva tenere nella chiesa dei martiri di Otranto, dovevo tenermi distante per non inciampare al suo abito. Arrivati all'altezza della cappella di S. Leonardo, ci accomodammo nelle macchine, già pronte e ci dirigemmo a Otranto. Scesi dalla macchina, dovetti accompagnare la sposa fino in cima alla scalinata dove, all'ingresso della cappella, la consegnai al suo futuro sposo.

Fu una bella cerimonia religiosa, allietata da canti e musica che io avevo preparato con un piccolo coro per la circostanza.

Dalla religione si passò alla pancia. Finita la cerimonia religiosa ci recammo al ristorante EUROMARE di Castro Marina di Romeo Capraro, per il pranzo. Qui si fece gran festa e scintillio di auguri, ma senza musica, perché si volle mantenere un segno di colui che doveva essere con noi, ma non lo era più. Purtroppo mi sono abituato a ripetere come i contadini: per sei mesi dico "se vole Diu", e per sei mesi, quando le cose non vanno bene, ripeto: "fazza Diu".

Il pranzo si protrasse fino al tardo pomeriggio, e poi tutti tornammo alle nostre case.

Gli sposi si preparavano, intanto, per il viaggio di nozze e per la "luna di miele" che trascorsero all'isola di Tenerife, nelle Canarie. E così chiudemmo anche un altro capitolo.

La Nascita di una Nuova Stella

Io trascorrevo le giornate dilettandomi con la musica, con la lettura, incidendo brani musicali sui registratori e, quando il tempo lo permetteva, mi distraevo con la pesca al mare. Teresa continuava ad occuparsi della casa. Ma non mancavano i contatti telefonici da Tenerife con gli sposini. Dicevano che le giornate lì passano veloci; però esprimevano il desiderio di venire presto ad abbracciare tutti noi parenti ed amici. Infatti le vacanze finirono e i "piccioncini" tornarono. Si sistemarono nella nuova casa nel Comune di lui, a Martano, e iniziarono a tessere la vita della nuova famiglia.

Noi avremmo preferito che avessero scelto la loro residenza nel nostro Comune di Castrignano dei Greci, ma anche questa volta ci siamo consolati col "Fazza Diu". E Dio fece davvero: gli sposini non perdettero tempo e ben presto nacque una bella bambina a cui fu dato il nome "Eleonora". Io e Teresa fummo felici della nuova venuta e ci recavamo spesso a vederla crescere. Infatti dopo pochi mesi manifestava già la sua vivacità e la sua dolcezza nello stesso tempo. A un anno già chiamava "mamma", "papà", "nonno", e io ero felice di sentirmi chiamare con tanta decisione e sicurezza. A tredici mesi e mezzo già faceva i primi passi da sola, e a due anni già solfeggiava su un catalogo di Postalmarket. Infatti, assistendo durante qualche lezione di musica, alla lezione di solfeggio, voleva lei imitare gli allievi, solfeggiando indifferentemente su qualsiasi forma di libro. E la sentivi: "Dòo-òo-òo, mìi-ìi-mìi; Dòo-màa-àa (invece di Mi"); e andava avanti così. Era un piacere ascoltarla con quanto gusto e serietà si impegnava ad imitare quello che ascoltava.

Un giorno, giocando con me, ci scambiavamo dei colpettini. A un certo momento io, per gioco, le immobilizzo le mani: lei non si perde d'animo, solleva il piedino: - ti dò un pugno col piede - mi disse e mi appioppò un calcetto. Io lo raccontavo con gusto e con meraviglia. Era sveglia e continua a crescere vivace, dolce, estroversa ed anche estrosa. Infatti manifesta un temperamento forte e deciso: quando vuole una cosa, non si dà pace se non la ottiene. Se la si nega, per ovvi motivi, ne risente e ammutolisce; però sa riprendersi molto presto.

Ci siamo affezionati a lei come ad una propria figlia, e non siamo capaci di far passare un giorno senza incontrarla o ascoltarla per telefono. Anche Clelia, come le è possibile, corre da noi, e tra Clelia, Eleonora, musica, pesca, amici e parenti, trascorrono i giorni della nostra esistenza.

Ma ora Eleonora si trastulla con un nuovo arrivato: il 9 maggio 94 è nato il fratellino a cui è stato dato il nome Domenico Paolo, come il nonno paterno e lo zio scomparso. Però viene chiamato col solo nome di "Domenico".

Vistici un po' tristi, perché avremmo gradito che fosse chiamato col nome di "Paolo",

- Nonni! - esclamò Eleonora, - Non vi arrabbiate! Mi chiamo io Paola. -

Rimanemmo ammutoliti e colpiti da tanta sensibilità in una bambina che ancora non aveva cinque anni.

Abbiamo dovuto prepararla con accortezza e delicatezza ad accettare l'intruso. Abbiamo pensato che il miglior metodo per l'accettazione sia la responsabilizzazione. Infatti le dicevamo che lei doveva fare la mammina al fratellino, che doveva aver cura di lui, che doveva proteggerlo, e in parte ci siamo riusciti. Però non siamo riusciti a fugare per intero la gelosia che, di tanto in tanto, si manifesta spontaneamente con atti un po' violenti: ora gli tira una gamba, ora lo bacia forte da fargli male, ora gli morde leggermente la mano, fingendo di baciargliela, e così via. Ma ultimamente sta cambiando atteggiamenti: si è maggiormente affezionata, ed è più dolce e buona con lui.

Io, per lenire la sua gelosia verso il fratellino, le dicevo che voglio bene a tutti e due, però poco più, più, più, più all'Eleonora; e così era più contenta. Ma un giorno, mentre ero vicino a lei e al fratellino, cominciai a dire: "io voglio bene a tutti e"... mi interruppe bruscamente, dicendomi con decisione all'orecchio: "Zitto! Non lo dire vicino a lui!" In questo gesto traspare tutta

la sua sensibilità di rispetto e di affetto verso il bambino.


I capitoli tratti dall'autobiografia "Un Cieco Che Vede" del prof. Antonio Greco, vengono pubblicati con l'autorizzazione dell'autore. Per contattare il prof. Antonio Greco e per informazioni sull'opera completa si può scrivere a griconio@gmail.com